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                             IMPOSSIBILE

                  Domenico Merli

 

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         Ringrazio il cielo per il Pensiero e la Coscienza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

         Come chi pesca e non si accorge di essere  il mare

 

                                                                                             

 

 

 

 

 

 

 

 

Se qualcuno astraesse da tutto ciò che sa o ha visto, sarebbe del tutto incapace, in base soltanto alle sue idee, di determinare qual sorta di spettacolo l'universo deve essere o di dare la preferenza ad un certo stato o ad una certa disposizione di cose piuttosto che ad un'altra.

                                               DIALOGHI SULLA RELIGIONE NATURALE, DAVID HUME

 

 

 

"Tra poco avrò dimenticato tutto, tra poco tutti mi avranno dimenticato"

         Marco Aurelio

 

 

 

 

 

 

I.

Mentre stava parlando aveva la sensazione di vedersi, di vedersi parlare. Aveva pensato molto e non era più convinto di andare in metropolitana a far visita al'assassino con le sue sigarette. Le sigarette si chiese che centrano e sapeva che era per un discorso puerile e stupido indecifrabile come il fumo stesso. Sorrise: indecifrabile fumo, pensò, indecifrabili segnali di fumo. Ma aveva pensato molto, e non voleva perdere un capitale simile. Pensava che prima o poi le sue ginocchia si sarebbero rotte, crack, rotte, kaput.

Se non se le sarebbe rotte le ginocchia con gli esercizi ginnici, che consistevano all'improvviso da "freddi" di accucciarsi dietro un angolo e poi rapidi in piedi, sentendo quel legamento crociato diventare funereo, allora sarebbero stati Loro. Con un mazza o una sterzata di un camion per la strada. Non stavo parlando, mi vedevo parlare però, indistintamente vedevo le mie labbra muoversi. Cercavo di fermare la lingua che si muoveva chiusa nella bocca, la vedevo e si muoveva proprio. Ma non parlavo, ero in effetti, in silenzio, mimavo dentro i denti le parole.

Io facevo perdere all'azienda non so quanto al giorno. Ero contento che mi volessero bene cosi, senza ritorno. Avevano smesso di pagarmi ma io non mi ero licenziato. Ero contento di lavorare cosi, per nulla. Rimanevo abbracciato ad un cordone ombelicale e alla ditta. Perplesso ed ucciso dai sensi di colpa di un lavoro che non era un lavoro, una attività solitaria come la scrittura. Il mio datore di lavoro aveva preso qualcosa e io avevo preso un caffè... "Ma se non hai amici, dove vai tutto il giorno?" Nel metro guardo la gente gli risposi anche adesso che sto viaggiandoci sopra guardo due tizi che dormono. Adesso sono in metro e mi guardo intorno, non ho neanche una banconota da cinque in tasca. I soldi li ho persi tutti, più che al gioco, non li vedevo bendato e non li trovavo, persi. C'è silenzio, nessuno parla, chi dorme, chi guarda altrove, silenzio e sferragliare acuto di freni e binari. Andavo dall'assassino.

Il vagone viaggia e due tizi dormono seduto in un angolo, forse sognano di essere il vagone stesso e rumore di ferraglia. Io mi vedo e mi vedo parlare e so che ho la bocca chiusa e non sono un ventriloquo e penso di incrociare le gambe e mi chiedo chi lo noterò, ma poi mi vedo farlo e non ne ho più voglia, non lo faccio. Mi vedo e non ho più coraggio di fare niente e come se fossi un fossile in un sasso. Ma c'è una ragazza con i capelli sulla faccia, altre ragazze sono sedute e tutti siamo in silenzio e mi chiedo la ragazza vede dall'alto i suoi capelli sugli occhi e non muore di vita?

Loro. Da notare l'uso della maiuscola: Loro. Continuano a credermi pericoloso. Per via che non mi sono ancora rotto le ginocchia con il mio masochismo. Che strano senso di colpa. Il senso di colpa del senso di colpa. Loro (sadici che ascoltano la mia lingua) velocemente mi seguono e si accontentano di inseguirmi e io sono una tartaruga. E' una ghigliottina che si smonta e si monta. Da migliaia di anni si va a bistecche fresche e io con ancora la testa su collo, boh...

"Giulietta e come la notte". Seduta ad un angolo del vagone in un'ombra trenta o trecento metri sotto terra, pelle interna nera grande e vasta come la notte. Il tempo di questi viaggi sotterranei non è sempre lo stesso, muta,  e ritorna anche lo stesso viaggio con il tempo stesso, si smarrisce. A volte torna indietro tutta la scena, è perdo la cognizione del tempo, non riuscire a esistere fuori dal tempo, basta un attimo e si è di nuovo risucchiati nel vagone.

Il treno rallenta e si ferma in galleria, forse un guasto o un incidente. Ma quasi sempre non è nulla di drammatico, nulla di nulla, si ferma per motivi suoi... di servizio. Io soffro di claustrofobia, a intervalli ne soffro di più o di meno, mi sono curato e mi curo da quando sono stato messo fuori dal corpo dei vigili del fuoco.

Ero davanti ad una casa pericolante. Il regolamento dice che se non si  è pagati per corre il rischio della vita, insomma non si è pagati per morire. Ho avuto paura, e il peggio e che mi sono salvato la vita, perché quel palazzo mi è crollato davanti e io dovevo esserci sotto.

Quando capita provo lo stesso terrore, spesso quando il treno del metro si ferma in galleria, e credo sia vero che la paura mi abbia salvato la vita, ma non è per questo che ho paura, adesso nel silenzio irreale dei passeggeri che aspettano, quasi dormano, quasi caduti in un incantesimo. Ho troppo fantasia da un po' di tempo in qua, mi dico perché non dovrei farmi venire un attacco di panico... e ci credo fino a stare male, non è che lo dico io a me, me lo dicono le budella, ma quelle budella mi hanno salvato la vita. Allora adesso che Giulietta e in ombra e tutti aspettano senza sapere se troveranno in superficie il mondo che hanno lasciato, se il tempo è tornato indietro o e finito per scorrere mentre loro erano fermi , io leggo il giornale. Leggo sul giornale le avventure a puntate del commissario Kanaka.

Kanaka ero sceso nella stazione del metro e camminava dentro il tunnel, vicino al treno immobile, era arrivato ad una carrozza che lo interessava e da fuori vedeva le persone che c'erano dentro mentre lui rimaneva nascosto sul marciapiede di emergenza. Kanaka sapeva che quelle persone lo interessavano, anche se in modo particolare, non erano neppure sospettate ma erano parte della storia sua personale, della vita di Kanaka.

Lui risalì per le scale mobili fino all'aria fresca, si sedette su una panchina cercando di capire dove fosse una tabaccheria. Aveva appena piovuto e la notte più notte, la città tranquilla più tranquilla. Aveva visto l'insegna di un tabaccaio e pacificamente, senza ansie, si era messo a camminare, neppure fumava, gli serviva per le indagine un pacchetto di sigarette. L'imputato ne aveva fatto un movente per un delitto. Kanaka entrò e salutò, poi chiese un pacchetto di sigaretta delle "nove teste di leone" e ci lesse sopra "Il fumo uccide". Lo tenne sospeso nella mano, era possibile che l'accusato trovasse una scusa simile?

sc originale primo.jpgLa vettura del metro si mosse ed io mi ritrovai nella stazione della metro nel quartiere dove abitava quel certo assassino che andavo a trovare. Suonai come sempre in campanello e mi accomodai in una sala grande e spoglia con un tavole e due sedie. C'era un posacenere ma non era mai stato usato.

Lo vidi entrare, lui, Pasnak, cosi si chiamava, il suo nome noto alle cronache per un fatto di nera ed era seduto in un angolo e non lo avevo notato, mi sorpresi.

"Ma veramente per un pacchetto di sigarette hai fatto questo?" gli chiedo

"Ma non lo so, sempre la stessa domanda: perché?" rispose Pasnak

"Un pacchetto di sigarette..." commento laconico.

"Erano due settimane che aspettavo, aspettavo, aspettavo..."

"Va bene, non importa non parliamone..." gli dico

"Hai una sigaretta?" mi chiede Pasnak

"Ma non me le hai chieste l'altra volta quando sono andato via?" gli rispondo

"Già, é vero, hai smesso!"

"Vuoi che me ne vado?" gli chiedo

"Ma no, resta, piuttosto io me ne sarei dovuto andare" mi dice Pasnak

"Si te ne saresti dovuto andare"

"Da quanto abiti qui?" Gli chiedo

"Ma ci passo dentro tutto il tempo, non saprei in effetti da quando questa stanza sia la mia"

Poi cade un silenzio, forte quanto lungo, siamo stanchi e Pasnak si siede al tavolo e mi inviata a sedere con un cenno, e io prendo posto.

Aspetto in silenzio che inizi a parlare. Sempre racconta la stessa storia, è quasi solida più che solita la storia che racconta, qualcuno che mi vedesse chissà cosa penserebbe, ma anche Pasnak deve avere un amico e sono io. Mi chiedo se sono un buon amico suo, ma non voglio pensare ad essergli troppo simile. Per molti, le persone simili si attirano, ma non è cosi, è questa stanza che non ha una uscita, ha una porta sola non mi è sufficiente per andarmene da questa resina.

"Era la settimana dell'astinenza da... sigarette, io ero appena arrivato in città e non lo sapevo, accidenti, non lo sapevo" iniziò Pasnak.

Io lo guardavo questa volta interessato. Lui ricomincia a parlare.

"Non c'era una sigaretta accesa per tutta la città, almeno in strada. Nelle case avevano fatto scorta e si fumava. Questo mi faceva rabbia, che gli altri tranquillamente e io tormentato, avessero la porta chiusa con il catenaccio pure, in strada io nella mia voglia, tutto lindo, né un mozzicone né una foglia secca."

"Ma quanto sei stato cosi?" gli chiedo

"I primi due giorni, non c'era male, resistevo, non dormivo e non mangiavo. Mi ero fatto dei progetti, pensavo spesso di giorno alle stelle, di notte stavo con gli occhi alla volta stellata. Le vedevo scomparire dietro la linea dell'orizzonte e soffrivo ancora di più. Terribilmente." la stanza dove eravamo sembrava chiusa sotto un montagna di stelle.

"Poi sono diventato una bestia. E' stato terribile. correvo per le strade, mi arrampicavo dove c'era una finestra, e mi hanno portato in ospedale che ero fuori di testa, come credo non si possa spiegare o forse, sì ma..." Loro, tu sai cosa intendo, loro mi seguivano. Mi sentivo in colpa di non sapere dove avessi sbagliato e perché, non avevo modo di fare nulla ne un soldo in tasca.

"E in ospedale non ti hanno fatto nulla?" Gli chiedo

"Sono uscito dopo un trattamento - si rilassi! - mi hanno detto, non si può fumare, non può accendersi neanche una sigaretta. Ed è lì che è successo. Due isolati di distanza, la settimana era quasi finita, e quel tizio si era preso chissà dove un pacchetto di sigarette, Delle BareB o delle Nove teste d'oro non ricordodoveva avere molta voglia perché lo ha tirato fuori in mezzo alla strada ed io non ci ho visto più e lo ucciso, insomma... tu sai che io... lo devo aver fatto per forza" disse

"Delle BareB o delle Nove teste d'oro. E' importantissimo tu sapessi esattamente la marca, sforzati!gli dissi

"Non ricordo se era il cono del vulcano o il leoni, mi si confondono nella testa, ti prego. Smetti!" disse

"Ma non potevi aspettare ormai la settimana era finita"

Non lo so, non sono riuscito a fumare quelle sigarette, tra l'altro"

"neanche una?" gli chiedo

"Neanche una" mi risponde

"Ne sei certo?" gli chiedo

"Certo sì, no, non so" mi rispose Pasnak.

Era per me tempo di andare.

Io mi alzai per uscire. Pasnak sembrava avere lasciato la stanza da chissà dove. Non lo credevo. Presi sciarpa e capello e uscii dalla casa di Pasnak. Lui o me non fa differenza. (Me, l'Io o il Lui. Ma Lui è dentro la casa, l'Io è fuori, che confusione me)

Lui crede di dire ancora la frase e tutte le frasi dette dentro quella casa. Io sono in metropolitana.

"Ma veramente per un pacchetto di sigarette hai fatto questo?" gli chiedo

"Ma non lo so, sempre la stessa domanda: perché?" rispose Pasnak

Lui lo stava dicendo ancora, in un altro tempo e in un altro spazio. Dentro una conchiglia di spirali sovrapposte.

 

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Kanaka aveva il pacchetto in mano. Lo mise in tasca e camminò. Ritrovò la strada dove era accaduto il delitto delle sigarette. Immaginò la scena. Sapeva quale fosse la via che aveva percorso la vittima fino al punto dell'incidente. Sapeva che l'aggressore era giunto allo stesso punto a piedi pure lui e dalla strada opposta. Ora, Kanaka camminava passo per passo, pressappoco come un tizio ignaro del proprio destino, come un automobilista un attimo prima di un incidente stradale. Dall'altra parte viene un uomo "disturbato" anch'esso ignaro della svolta criminale della sua vita. Essere nel tempo coinvolti dal tempo.

Vi sono ancora molte tracce dell'accaduto. Atomi di ossigeno, idrogeno, sali minerali, capelli, persone che hanno visto e hanno o non hanno testimoniato, macchine ancora parcheggiate lì, da anni nessuno ha tolto una affissione abusiva, forse ancora del tabacco originale del fatto famigerato non raccolto come prova. E poi c'era la strada, rimasta la stessa da anni, il luogo della colpa, era rimasto uguale, un ambiente immutato, e prima era stato campagna, prima una pianura con un lago e prima, è roccia incandescente. Kanaka aveva trovato il passo giusto ed era arrivato al punto incriminato. Estrasse il pacchetto di sigarette e aspetto teso che qualcuno lo colpisse, che lo ferisse cosi come era già successo ma di nuovo, di nuovo nello stesso modo, se mai era possibile...

Potevo essere, ero. Nel senso che non vi era motivo per cui mettessi in discussione il fatto che tutto si fosse svolto a casa di Pasnak tutto secondo un rituale, un copione stabilito. Anzi, io mi aspettavo che ci fossero delle discrepanze, mi stupisse ancora di più Pasnak! Quando mi sono girato uscendo mi sono visto forse ad uno specchio, rabbuiato che andavo dalla parte opposta.

Esistevo perché ero sotto un albero e non a casa del fumatore, insomma! Se qualcuno altro fosse andato dentro a trovarlo mentre io fuori uscivo, e fosse stata anche la mia immagine sdoppiata io adesso esisto perché non ero lì.

Forse per il caldo, l'albero sotto cui ero si era deformato, sembrava un insetto, una donna con un busto troppo stretto, e aveva preso ad oscillare ronzante. Io devo andare dall'uomo senza polpastrelli, esisto e voglio, voglio andare da Nesgu. Non sono giuridicamente attaccabile, e la prima libertà, unica, del mio tempo fare della propria volontà prova di esistenza. Bah...

L'albero si disfà come fosse stato montato con singoli tronchetti da ardere, che cadono alla rinfusa, dentro c'era un idrante che inonda tutto intorno. Guardo un palazzo costruito su successivi ammodernamenti, tutta la storia dell'Architettura dalla tenda etrusca all'edilizia di ultima, la grandezza e il fasto delle successive grandi civiltà, vedo una donna etrusca bella che rimane bella ma non c'è più la tenda ma un forte in legno, e dopo un torrione e le mi sorride, sto. Colpa della donna essere sempre trascendente, troppo fuori dal tempo. In questa storia ci sono solo uomini, fantasmi che perseguitano l'autore. Devo andare dall'uomo senza polpastrelli chiamato Nesgu ed è vero che non ne ha, ma è scortese, egli ha perso la sensibilità nelle mani e forse anche nel corpo. Non mi interesso più all'architettura, dei palazzi abitudine del tempo  infatti, passo indifferente per un ponticello veneziano, in un mondo orientalizzato, silenzi, taglio di capelli moderni, silenzi e lingue spuntate. Ma non mi interesso neanche di questo, già è passata l'orientalizzazione e c'è un nuovo spirito nell'aria, la gente scherza.. la gente scherza da fare male, ma si è tornati ad trionfo e alla inevitabile caduta e poi di nuovo le facce di mille anni...  fa sono sul ponticello veneziano, le facce di mille anni fa sono di nuovo qui, il grande palazzo per la celebrazione di qualcosa si accende di luce, una ragazza etrusca sulla terrazza saluta...

Sono già arrivato alla casa dell'uomo senza polpastrelli. Devo salire un interminabile serie di scale a chiocciola salire una spirale di scale verso l'alto. Come se potesse essere possibile che ci sia un prima e un dopo, un salire verso l'alto e un scendere in basso, invece la dimensione è solo del prima e del dopo, dritta come dritta il la linea tra il prima e il dopo. Non posso teoricamente concepire piani superiori a quello dell'asfalto, prima sono successe delle cose e lo ammetto e dopo succederanno delle cose se si vuole, ma di fianco come è possibile che ci sia un "di fianco" dove le cose succedono di fianco pure non ci può essere un di sopra del prima e del poi deve essere tutta una trappola? Una dimensione non dovrebbe contenere, semplicemente contenere. Dovrebbe allargarsi in un sorriso, un pianto qualcosa insomma di comprensibile. Perché avere come dimensioni appunto solo una precedente e posteriore, ma quante dimensioni ha una dimensione? Questa è una trappola vera e psicologica, perché ha un sopra e un sotto, un meno e un più, allo stesso momento è come una lastra di marmo o una tavola di compensato che imprigiona, è resina per una zanzara, è mare per i pesci, e forse è un bicchiere d'acqua, semplicemente gravitazione per un asteroide, catturato dal sole e allontanato solo dalla volontà umana, ma questa volontà non serve per uscire dalla trappola da sopra di lato sotto avanti indietro. Inoltre non basterebbe che questa "tavola" avesse degli angoli e dei corni, delle porosità, delle micro fessure, come se ci fosse qualcosa di non uniforme nell'uniformità assoluta, nella purezza ci possono essere movimenti circolari, zone morte... in un movimento circolare non si scappa è la trappola perfetta. Trappole a due dimensioni, circolari, a polte dimensioni, con corni lati, un sopra un sotto... Si sta come un corridore su una piastrella e non si avanza mai di un centimetro, so corre sul posto o può essere che la piastrella sia una zona morta, immobilità assoluta. Ma potrebbe capitare di correre alla stessa velocità del nastro trasportatore, o di correre millimetricamente più piano o più veloce cosi che un istante si allunga indefinitamente, o tanto veloce che si potrebbe arrivare al muro, contro il muro oltre il quale non si va, non ci si può andare e si scopre che è una trappola invincibile, una trappola invincibile. Forse, la volontà potrebbe servire, non solo per il diletto e l'ambizione.

Non serve la volontà usata cosi.

 

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Salgo queste davvero interminabili scale e arrivo alla porta dell'uomo senza sensibilità, lui è seduto su una sedia da dentista e mi parla di scivolare lungo un iceberg con uno slittino. Ama l'avventura estrema è una delle poche cose che ancora dice, gli danno sensazioni. Ma io ne dubito. Vive nel vuoto dell'adrenalina, della noradrenalina, delle reazioni emotive d'ansia e di terrore. Credo che gli stessi suoi riflessi involontari non ci siano più in lui, è un cuore che batte nel vuoto. Ha il desiderio di tagliarsi, di riempirsi di taglio o amputarsi qualcosa del suo corpo. Forse è pazzo, ma non è autolesionismo. Ci tiene alla salute, in un modo stupito, se si vuole, solo perché è stupido farsi male. E' per questo che non si butta con lo slittino giù da un iceberg.

"Non sono sempre stato così" mi dice ed io mi accomodo.

"Prima dell'incidente, ero quasi infastidito dalla mie percezioni, le provavo di continuo, costantemente, non pensavo..  a volte  avevo un bisogno insignificante, avevo un certo gusto per viaggiare, di andare in un certo posto, poi, dopo il fulmine, tutto è cambiato..."

"Come è successo?" gli chiedo

"Come è successo che mi ha colpito un fulmine?" mi chiede lui

"Sì, certo" rispondo

"Ero sotto un albero durante un temporale. Bisognerebbe stare in macchina. Lo sapevo ma allora agivo in modo irrazionale a volte, mosso da umori affettivi. Adesso anche se volessi non potrei. Ho smesso con il paracadutismo proprio per questo. La ragione è la mia unica facoltà rimasta."

"Riesci a viverci, con la ragione?" gli chiedo.

"Ma ché, non si può proprio vivere con la ragione si ha bisogno a volte, a volte c'è un bisogno insignificante, un certo gusto di andare in un certo posto e allora vado in terrazzo e guardo la strada, le persone che passeggiano, io abito ad un piano alto e vedo tutto intorno persone. Mi viene voglia di volare, ma sarebbe contro la ragione e allora mi sporgo senza nessunissima paura e guardo le persone camminare. Il linguaggio di chi è uscito dalle caverne nel mondo dell'atomo, usare il nome dei genitale per dir bello, di mazzata per punizione, spararsi una pizza ecc... Ma non mi prende lo sconforto, no!" dopo una pausa riprende

"No, sconforto vero e proprio non è possibile è contro la ragione e non ho una sensazione a cui aggrapparmi e neppure questa ma qui sta tutto. Tutto."

"Perché usi una poltrona da dentista in soggiorno?" gli chiedo

Ho sempre avuto un po' di fobia per le cure mediche, la ortodonzia mi serve ora che non ho più paura per rievocare... mi immagino torturato come in guerra e non provo niente lo stesso. Ma la ragione mi dice che non è giusto che non abbia sensazioni e io credo che potrei vivere senza. Ho espresso male quello che voglio dire è che per la ragione e "si e no" sono un insieme probabilistico."

"Sì e no, cosa?" gli chiedo

"Sì e no e basta. Sì e no!"

"Se avessi ancora sensazioni potrei dirti se è un sì o un no, ma la ragione è probabilistica."

"Io sono probabilmente" gli rispondo e sorrido

"Probabilmente tu no!" anche lui sorridendo

"Probabilmente a livelli diversi tutto è solo un espressione del probabile" e continua

"La ragione non lo nega ma a ciò che dici attribuisce una bassa probabilità" mi risponde Nesgu e aggiunge "non sarei in grado di azzardare una risposta"

Egli prese una rivoltella dal cassetto e disse:

"Vedi? Non ho paura, nessuna sensazione. Vorrei averla un'emozione nella vita cosi nel tentativo di ciò la punto alla testa con desiderio. Aspetto e la ragione mi dice che ci sono buone possibilità faccia una fesseria e la ripongo."

"Non hai paura di Dio?" gli chiedo

"Certo rispetto chi ha creato la vita. Ma se anche fossi cosi leggero da salire alle alte cerchie celesti dovrei andarci senza la vocazione alla santità. Se finissi per un profondo dolore e rammarico avendo però questa sensazione se l'avessi dovrei o non dovrei darle corso, mi chiedo, dove sta la probabilità dell'azione più razionale e se vuoi morale?"

"Non saprei proprio, ma è superata la dicotomia religione e ragione. Non sono più in conflitto! La ragione non può mettere in discussione i dogmi perché metafisici." gli risposi e aggiunsi:

"In realtà non so nulla, nulla di nulla sono agnostico  e come agnostico mi rendo conto che ho anche io un dogma. Ma dico di non sapere se l'ho davvero. Adesso devo andare" e salutai.

Uscendo vidi l'uomo senza polpastrelli seduto sulla poltrona da dentista che chiedeva ad un immaginario odontotecnico se facesse bene a curarsi una carie.

"Faccio bene, dottore?" chiedeva l'uomo senza polpastrelli all'amico immaginario che gli rispondeva.

"Ma certo che fa bene, perché no?" a sua volta chiedeva il "dentista".

"Ma faccio proprio bene, dottore" l'uomo senza polpastrelli insisteva.

Io scesi lentamente le scale, con la sensazione, una vera pura e chiara sensazione di aver visto entrare un'ombra nell'appartamento del mio amico, un'ombra tale e quale a me.

Loro mi seguivano, proprio Loro, uno dietro l'altro, piccoli essere, sicuri del fatto loro in modo assoluto sensi di colpa miei. E se avessi fatto un giro a caso, svoltato l'angolo gli avrei seminati, o era questa strada una dritta autostrada, mi chiesi.

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Era possibile, si chiese Kanaka, che quell'uomo che veniva contro di lui, che lo fissava torvo, che aveva in mano una catena di ferro come un teppista fosse l'assassino? Era agli arresti domiciliari, ne aveva sentito la voce nelle registrazioni vocali nel suo soggiorno, ne aveva visto le foto degli agenti appostati con teleobiettivo, era certo fosse a casa sua, l'assassino. E allora? Nello stesso posto e alla stessa ora, nello stesso vuoto. Con un pacchetto di sigarette in mano, lui allo stesso modo della vittima, lìsi erano incontrate due persone quando non si sa  identica scena esattamente occupando lo stesso spazio, esattamente nella stessa posa, insomma, il movimento spaziale dei corpi era identico, e Kanaka si chiese se sarebbe tutto sarebbe successo ancora nello stesso modo ma con due attori diversi, allora? La potenza delle ricorrenze dominavano? L'uomo sempre lo stesso e sempre le stesse storie. Se il futuro fosse quindi preordinato dalle medesime cause, date quelle cause lui fatalmente era l'assassinato ma quel signore non sembrava essere il suo spietato fato mortale.

"Le spiace se sospendiamo lo spazio e il tempo per una decina di minuti, sono il connettore temporale" gli disse il presunto aggressore.

Kanaka rimase ad osservare meglio la catena che sembrava essere un connettore metallico scuro, e non solo un connettore (sembrava una presa da 360 volt) nella mano, ma altri uscivano da una singolare tenuta di lavoro. Il connettore temporale, era un uomo sono nell'aspetto, una semidio creato nella profondità del tempo proprio per connettere... tempo a tempo soprattutto avvenimenti che si sovrapponevano, come questo incrocio dove non solo le sigarette ma altri oggetti erano stati contesi in modo criminoso.

"Siete in molti come voi?" chiese Kanaka che non si decideva a ritirare il pacchetto dalla vista.

"Ma che le devo rispondere, caro signore, che dalla profondità del tempo si sono generate una moltitudine di creature, che ci sono enti per la difesa della Umanità e del suo Universo, che farebbe differenza se poi ci fosse altri enti per altre creature e il loro Universo, che allora ci sono enti per altri universi sconosciuti, ma tutti sovrapposti, vede, tutti sovrapposti e noi connettori a fare raccordi di tubi, incroci di tubi, questo maledetto incrocio ... e venuto con un pacchetto di sigarette, perché?"

"Proprio a quest'ora, esattamente in questo luogo è successo, crediamo che sia successo un omicidio" rispose Kanaka.

"Un rituale?"

"No, volevo capire come era possibile, un fatto assurdo come questo senza un vero movente, senza un arma, senza un testimone, che rimane solo nelle carte processuali, nella sentenza, nel ricordo di nessuno, lo stesso presunto assassino ne parla in modo incomprensibile, tutto arso nell'aria come una bomba al fosforo"

"Non un rituale allora, un viaggiatore del tempo!"

"Sì" disse Kanaka.

"Contento lei, i viaggi nel tempo sono sempre una fregatura! I VIAGGI NEL TEMPO SONO SEMPRE UNA FRAGATURA!

disse il connettore e rise.

Poi continuò a parlare in altro tono, più coinciso.

L'armata al assedio delle mura è partita all'assalto. Un toro scatenato. Proprio qui, nello stesso tempo e nello stesso posto. L'incendio del palazzo. Il bue profuma in sacrificio agli dei. Proprio qui, nello stesso tempo e nello stesso spazio. Connettere, connettere... Viene bruciata una strega. E' fatto esplodere la prigione morti e rivoluzione. Proprio qui, nello stesso tempo e nello stesso posto. Connettere. Un cavallo imbizzarrito scappa e uccide una donna, una donna senza nome, nessuna la conosce. Una persona era stata uccisa per un pacchetto di sigarette ma non c'è più neppure da connettere, tutti è sovrapposto nello stesso cubo, l'armata all'assalto, il bue sacrificale, la strega bruciata... ma il pacchetto di sigarette non c'è, un piede di donna del periodo di Marco Aurelio. Altro si impone e scalza quello che cerca, sono spiacente. La riporto dove era e quando era. Ricordi che Loro impongono la Loro volontà. Sempre allo stesso posto e ora, la impongono. Non se ne preoccupi se sentirà un po' di nausea."

Kanaka sentì un forte dolore alla fronte. Un ragazzo lo aveva colpito con un sasso. Quasi mi ammazza, pensò poi gli regalo le sigarette e se ne andò. Era troppo piccolo il teppista per fumare.

 

 

Forse, scendendo le scale non ero io ha vedere un'ombra a me rassomigliante ma ero l'ombra. Potevo muovermi liberamente, non essere fermato dagli agenti in metropolitana, come un'ombra... mi si lasciava. meglio Loro mi lasciavano, e io nuotava in tanto e troppo cordiale spago.  Mi diressi alla stazione e mi misi sulle scale mobili scendendo verso i treni del metrò. Un incantesimo aveva forse addormentato tutti i viaggiatori?

Sembrava ci fosse della nebbia anche dentro la stazione e giù sui binari. Attendevo il vagone tra altre persone ed eravamo in silenzio, io non sapevo quanto mi piacesse vivere. Di certo, molto. Ma potevo anche saltare nella fossa, la fossa della metropolitana. Lo potevo farlo evitando la sopravvivenza e ricorrere al Pelide Achille, dentro di me c'era un Pelide Achille. Sapete quel furore cieco e incontrollato che porta a compiere azioni sconsiderate? Ecco, il Pelide Achille.

Ma c'era la nebbia e riposi rabbia e rabbia stratificata da un'intera esistenza; un'intera esistenza questo fatto è Loro tempo che mi hanno concesso. Non ho un metro migliore, un orologio atomico più significativo. Loro e le Loro stanze, gli inviti sempre gli stessi e le stanze sempre le stesse, i discorsi sempre gli stessi, Loro? Chiamiamoli inconsci.

 

 

 

 

 

Mi ritrovo tra la nebbia e vite spezzate prima dello sviluppo, che se prendessimo tutti quelle di una generazione, le portassimo a sviluppo, e a lavorare per risolvere i mali del mondo basterebbero, ma non si può fare. La nebbia...

La nebbia uscendo dalla stazione era palpabile, nascondeva il visibile, fitta. Avevo fatto il viaggio in un vagone con poche persone silenziose e mi era ora particolarmente odioso il silenzio, ci sarebbe dovuta essere la filodiffusione trasmessa sopra le rotaie, ma era ancora peggio che il silenzio. Perché la musica non si accordava con me ascoltatore ed io ascoltatore per mia incapacità non mi accordavo con l'orchestra cosi che quando dopo un inizio allegro la melodia rallentava diveniva un adagio il mio stato d'animo non capiva letteralmente il passaggio e stordito diventavo attonito essendo più allegro. Se la melodia era allegra io aspettavo il momento più drammatico ma inutilmente. Avrei potuto ascoltare con fedeltà quattro note di contrappasso ripetute interminabilmente.

"Ben arrivato!" Mi disse l'uomo che abitava in una scatola di cartone.

"Come hai fatto a trovarmi con questa nebbia, Vacme?" gli chiesi. Vacme era il suo nome.

"Anni fa nello stesso punto ho incontrato un'altra persone, è un posto dove si incontrano persone, se è destino ci si rincontra anche se sempre la stessa gente, le stesse facce, ma con te è diverso, sono contento di averti visto devi venire nella mia casa di cartone"

"La visiterò non ora... non saprei neppure se la troveremmo con questa nebbia" dissi

"E' la brughiera!" mi disse il mio amico Vacme "E' solo in apparenza uno schermo bianco latteo, insondabile, ma come non vedi casa mia!"

Io guardavo e camminavo quasi attaccato a lui. Il bianco cartone del paesaggio si piegava a ombre lungo e chiare a venature o riflessi di luce. Come se fosse stato veramente possibile orientarsi. E cosi lui disse:

"Pagine di giornali, sterpi e rovi, camion e rime di poeti, olio per friggere e per curare la prima scottatura, disinfettante e chitarre elettriche e classiche, soda caustica, pasticceria industriale e dolcetto della nonna, soluzioni acquose, spugne per pulire e creme per il viso, modello monovolume, catene per biciclette, programmi informatici e informativi, votazioni a un mese e rinvio delle votazioni, anticipi sulle vendite, crisi di tutto e crisi del tutto, parole sempre più corte e linguisti perdono la vocazioni per parole sempre più lunghe, verba, latino, due millenni, verba, italiano, passato e futuro, lingue morte e lingue che muoiono, nuove lingue di numeri e sigle, che futuro se non c'è latino, intaliorum, messe in italiorum rare, rare le piogge vere, molta chimica, la signora mi disse di certe allergie, alle lingue di cifre e numeri, domani ognuno è un panino con la bibita non gassata, senza coloranti, senza caffeina, senza acqua, senza acqua, alcool, frutta, molta aria, molta aria e in montagna questa anno con la crisi, meglio la montagna e tante guardie del corpo intorno allo montagne e mari e tutti armati fino ai denti, burro senza latte senza niente aria! aria! aria! e gente, gente in mezzo al nulla... Tecnicamente non si può discutere che domani sia futuro, e che più leggero è, meno nuoce a tutti noi. Insalata condita con cipolla maionese, cavoletti, olive, capperi, cappelli per signora delicati e costosissimi, più cento trentasei nuove piste per biciclette e podisti, bambini e bambine, escursionisti e coppie di innamorati. "

"Dimmi come è stata la tua vita?" mi chiese, infine a questa assurda sequela di parole l'uomo che viveva in una scatola di cartone.

"La mia vita! urlare, piangere, o meglio frignare, la mia vita! Metà a piangermi addosso e metà a ridermi addosso, per altro avrei bisogno ancora di riavere i vestiti quelli con la macchia che non viene via e la tintoria mi disse di buttarli che anche lei la macchia lercia non la lava via e poi anche le impronte dei piedi e degli sguardi che mi hanno preso in caserma solo per un controllo e io aspettavo ma mi hanno cacciato per mare e monti e senza sapere perché ho chiesto se potevo averlo senza contrappeso. "Vorrei avere una montature senza quel contrappeso che non mi garba, perché lo so io e il motorino, motorizzabile.." Li rimasi stupito da me a riflettere sulle ultime parole che avevo detto:

 

Vorrei avere una montature senza quel contrappeso che non mi garba, perché lo so io e il motorino,  motorizzabile

"Che idiozia ho detto con questa frase - dissi all'uomo che viveva in una scatola di cartone - che idiozia, come se io sapessi che cosa sia una fotografia, un cielo stellato, dico a questa persona che mi ascoltava riguardo al contrappeso e aveva di certo un cavalletto con contrappeso, e allora le dico come se io sapessi cosa sia un cielo stellato, a che latitudine stano le stelle, come sono fatte e dove vanno e se per caso non sia meglio... un tronco di legno e salirci sopra per arrivare a toccare le stelle con un dito ma. L'inconsistenza dell'immagine" Ma questa persona che mi ascoltava se ne era già andata e rimasi con Vacme.

Ero preso dalla discussione e continuai.

"La mia vita è una vita da........ artista? Perché se dico che faccio lo scrittore è peggio. So io di lettere, ortografia e sintassi? Le persone si aspettano che scriva e allora devo dire che non sono un artista ma uno scrittore. E se lo dico le persone si aspettano che passi il tempo a scrivere su un computer per scrivere e io con il computer ci faccio altro e non potrei per via del fatto di disegnarci sopra per sbaglio, allora faccio una torta di fragole. No, mi dicono lei è uno scrittore non può fare torte di fragole. Ma con queste fragole! Dico io. E loro a me ma le ha rubate?

No!
Mente, come il gallo conferma.

No No No No No No No

SONO UN ARTISTA

e per tempo e spazio sono stato inseguito da un gallo morto e tagliato in tre ma che correva e parlava benissimo la mia lingua che grida a me ladro e dice di sentirsi dolore e pena da scoppiare."

Cosi mi accorsi che eravamo arrivati alla casa di cartone e nella nebbia fittissima la poteva riconoscere al tatto. Il tatto di un bambino che riconosce un suo gioco perduto. Vi è qualcosa in se nella vita contro cui nulla si può. Ma non era che anche questo libro non è che la produzione di un mondo di sensazioni di un adulta e poco razionale, c'è in tutto cosi poca mente e tanta voglia di sentimenti ed emozioni. So già che mi alzerò sperando di passare una giornata nella mente e so già che la passerò chiuso dentro un emozione che non"gira" mai. Coesistono istinti e Loro, indefinitamente si mostrano per quello che sono, dolore, felicità, e in alcuni casi senso di una esterna volontà. Loro.

L'uomo viveva in una casa di cartone come una pulce in una scatola di fiammiferi, lì vicino, mi spiega c'è una fabbrica dismessa di cartone con una montagna di scatole abitabile. C'era un villaggio e veri e propri grattaceli di cartone e lui stava in uno defilato, piccolissimo. Io apprezzavo stando in questa specie di casa l'isolamento dall'esterno, dalla nebbia, dai rumori, dell'influenza del mondo che veniva meno.

Anche le mie stesse sensazioni si attenuavano, i miei polpastrelli si raffreddavano. Dicono che le emozioni passano dagli occhi, detto senza tergiversare che il Diavolo passi dagli occhi. Che passi certo dalle orecchie, non so però ma si potrebbe non è dentro già. Molto di quello che tocchiamo certo da ogni sorta di sensazioni. Chi allestisce i musei ne dovrebbe tenere conto. Ma ero sempre più lontano dalle sensazioni chiuso in quella scatola di cartone, dalle proprietà di isolamento sorprendenti, dimenticavo cosi come venivano parole e emozioni, cicoria, primo giorno di scuola, le calze a rete, Peloponneso, le tette quella volta, le biglie, i canestri fatti, la prima sigaretta e occuparsi della propria felicità.

Mi pareva allora quella volta, che non occuparmi della mia felicità fosse un'intuizione felice, e che ci fosse brutto tempo e che nel mondo fosse una pioggia di sangue ed io ne ero isolato nel bene e nel male. Un privilegio. Ma no, la mia felicità, no!

"Vorresti andare nello spazio?" mi chiese l'uomo che viveva in quella casa di cartone.

"Ma!?" risposi senza pensare nulla.

Mi stavo ritirando in me. Il mio narcisismo era alleviato dall'idea di andare nello spazio, che per quanto assurda mi collocava in un luogo dove non si poteva essere propriamente narcisista.

Il padrone della casa di cartone mi stava avvolgendo in una pellicola trasparente (per alimenti, forse) ed io stavo veramente staccandomi dalle sensazioni dalle melanzane sott'olio, da altre parole, da piedi e mani, capelli e occhi chiari e scuri, da parole come pietre sensi di colpa, furori e ferite.

Salivo ed ero salito tra la Terra e la Luna sotto un cielo indescrivibilmente luminoso di stelle e non pensavo nulla, non sfruttavo l'occasione! Sentivo che c'era solo in mio respiro, lo spazio e le stelle. Ma quanto tempo sto perdendo. Quanto tempo sto perdendo e quanto tempo spreco. Ho qualcosa che devo fare a terra, non sopporto di rilassarmi cosi, c'è sempre qualcosa che devo fare. Mi avranno cercato e non mi avranno trovato, avranno lasciato un messaggio a cui devo rispondere. Il lettore mi scuserà? Quante cose devo dire, devo trovarle queste cose. Perdo tempo mi ripeto ma poi mi lascia cadere, nella stratosfera, verso qualcosa laggiù a cui dovevo qualcosa, un piccolo dovere mi basta. E dall'uomo che viveva nella nebbia in una casa di cartone non seppi nulla per molto tempo. Quando atterrai vidi un altro luogo sorprendente.

C'era un movimento, un gaio affannato movimento di persone felici, apparentemente un movimento di persone felici. Quanto ho pensato che si potesse regalare tutto il supermercato sotto casa a chi prende volentieri! Distribuire tutto come nei saccheggi! Tutto gratis! Una cuccagna o un paese dei balocchi doveva essere dove ero finito. O forse un futuro di qualche società senza costi e tasse, o il futuro della mia città a cento anni dalla mia morte o duecento...

Signore bellissime uscivo dai negozi con addosso nuove pellicce, alzando nelle mani calici di champagne o bicchierini di Porto, altri mettevano nelle tasche stracolme banconote, assegni, certificati pagabili al portatore, altri ancora baciavano la prima bella ragazza che incontravano altri riuscivano a camminare su muri e saltavano come acrobati e cadevano stando sui muri in verticale, felice mondo mi pareva non ne potesse esistere. Ma dentro un vicolo, v'erano vecchi abbandonati, che respiravano aria a pagamento solo ogni tanto, e che in tutta amarezza e senza che io ne abbia un merito o una colpa morivano come cani. Ma scivolai senza capire perché ero sporco di sangue sulla camicia, sui pantaloni e le scarpe, le mani sporche di sangue senza capire, scivolai senza capire dove ero, ma prima che mi rendessi conto di cosa stesse succedendo lasciavo quel mondo ed ero caduto dentro una specie di scatola, e precipitato nel quartiere della mia città, dove viveva Pasnak l'uomo delle sigarette.

In una specie di scatola. Strano modo di esprimersi, "Una specie di scatola" quasi incomprensibile, può essere tutto e nulla. Io intendo solo che tutta queste mie storie scritte e raccontate sono solo testi o testi letterari ma stano in una specie di scatola. Sovrapposti e mischiati come fogli o se possibile occupanti contemporaneamente lo stesso spazio. Tempi differenti in questa scatola coesistono contemporaneamente occupando lo stesso spazio. Ed io in mezzo ad una rete tesa e curva ricordo e parlo solo delle mie sensazione. Perché un certo modo credo alle emozioni vere e proprie. Non getterò più un'illusione su per le scale, dissi e non ne ho molte da scagliare lontano ne da tenere vicino. Di sensazioni ne ho molte, tutte piccole e insignificanti, rapidissime e contraddittorie,  ma danno il tono al mio umore e questo regola molto la mia salute mentale. Ma l'emozioni, l'amore, il coraggio, l'altruismo, non so, anche se il mondo mi avesse fatto cattivissimo e privo di queste sembra che mi avrebbero le persone accettato ugualmente e c'è veramente molti mondi in uno solo. Tutti dentro una scatola. Se dio volesse farmi sapere quale è il mio posto in questa scatola di fiammiferi dove mi scotto le dita preparando un caffè ne sarei infinitamente grato dell'onore.

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Kanaka si era diretto al mercato alimentare che di solito quel giorno si teneva nella via della nave. Guardare semplicemente guardare, è vedere gli oggetti per quello che sono o meglio senza vedere in grezzi utensili, altro che grezzi utensili, cucchiai e forchette, bottiglie d'olio, cartoni per imballaggi, stoffe per abiti, suole per scarpe. Kanaka voleva solo dare un'occhiata al mercato sapendo già in gran parte cosa avrebbe trovato e visto. Se le melanzane fossero più o meno fresche o altre cose simili non era rilevante era importante per Kanaka in quel momento le cose, estruse dalla reazione che provocavano. In una mente come la sua non era facile, come vedersi davanti un fantasma e non battere ciglio ma osservare che semplicemente né più né meno è un fantasma. Ma anche questo non c'entra molto, insomma, Kanaka si mette ad osservare la bancarella di un fiorista. Una rosa. Una rosa cattura la sua attenzione, poteva vederla e ammirare come si specchiasse infinitamente nel cielo. Era una moltiplicazione che funzionava, assolutamente funziona pensò, la rosa è una e infinita. Ma era poi una rosa la rosa? O era un suono teso sull'abisso del tempo? Si era allontanato dai mazzi di fiori e si era messo a guardare con lo stesso intento di moltiplicare forme e tendere suoni una venditrice di sigarette, donna maestosa e matura, potevano quegli enormi seni come la rosa moltiplicarsi sotto e sopra il livello della realtà e assumere a veri e propri ideogrammi, si chiese. Come la barca che stava in fondo alla strada e che dava il nome alla strada e si trovava lì per caso bizzarro approdo poteva essere una lettera di un alfabeto. Gli oggetti potevano essere raffigurati per questa capacità di moltiplicarsi in astratto nella mente e prendere suoni senza conclusione in un eco interno alla psiche, dire la parola, formare una parola come 45friogm54 che non vuol dire nulla o meglio potrebbe significare qualcosa a cercare bene. Ma anche se volesse dire rosadonna non potrebbe significare ancora qualcosa o significare a sufficienza, ma certo, potrebbe essere tradotta in una cosa o oggetto uguale a se domani e dopodomani come un cameo.

Kanaka guardava la donna che vendeva sigarette, robusta e di età matura, fumare, fumare e lui cercava di gettare un ponte tra gli esperimenti sul magnetismo animale del diciannovesimo secolo e le conoscenze di neuroscienze. Proprio del funzionamento del sistema nervoso è una attività nervosa anche nelle organismi più antichi e primitivi come la ameba che condividevano filogeneticamente fino alle idee degli ideogrammi, degli alfabeti sillabici, o agli alfabeti latini, scandinavi e la donna delle sigarette fumava, fumava e sembrava digli "Io so quello che cerchi!". Così che se il magnetismo animale o l'ipnosi del ventesimo secolo da una parte e cellule stimolate da neurolettici, potassio, dopamina, epinefrina, noradrenalina, dall'altra erano mischiate in una soluzione di codici e alfabeti, nella capacità di vedere qualcosa che improvvisamente si moltiplica uguale a se stesso all'infinito. Raffazzonata reazione epidermica. Una razione epidermica però che generava il pensiero che lui condivideva con la donna, e si sforzava di vedere se questa reazione fosse un fumo, sigarette, sigaretta, che natura avesse tutto questo?  Unico nell'universo il pensiero era uno specchio forse, addirittura si chiedeva se la donna potesse essere telepatica visto che lui sapeva già che aveva avuto una vita mediocre come la sua, e che la loro funzione fosse specchiare, specchiarsi anche pure l'uno l'altro,  seduti specchiare il cielo e il sole, ma quella donna sembrava conoscere quello che lui cercava e anche sembrava sapere misteriosamente tutto dei libri che Kanaka aveva letto, ma questa reazione chimica! Non era altro che memoria! Ma non poteva mettersi a discutere e se ne andò oltre la barca che qualcuno aveva depositato in quel posto.

Non avevo altra scelta, ero in zona, dovevo andare a trovarlo. Mi trovavo a qualche isolato dall'uomo delle sigarette e non potevo anche volendo non andarlo a trovare. Passare e fare finta di nulla sarebbe stato normale, ma un forma di obbligo mi legava a Pasnak, a tutti le persone della storia raccontata fino ad adesso senza nessuna legge, senza nessuna razionalità, solo un visita di cortesia se passavo vicino a casa loro.

Le siepi di Pasnak erano secche e puntute, disposte però ovunque nel giardino prendendo il posto delle più naturali aiuole di fiori. Era mal pareggiate e questo dava alla casa l'aria di essere abitata da un uomo che non usciva mai e cosi per altro era. Pasnak era o si riteneva agli arresti domiciliari, io non lo sapevo con precisione nonostante avessi seguito il suo processo seppure tra i banchi del pubblico.

Prima Pasnak aveva un ottimo lavoro era stimato e rispettato da tutti e dopo il processo fu dimenticato, vituperato e se non proprio insultato nel suo onore, non creduto, completamente non più creduto affatto. Era stato come giornalista colui che aveva scoperto la Lucv era solo un nome di fantasia e non corrispondeva a quello che nel discorso di quasi tutti volevano corrispondesse a ricchezza e potere ambigui. La Lucv non possedeva un bel nulla, ne jet supersonici o altri super veicoli, la Lucv non aveva un piano industriale di recupero e ampliamento del suo potenziale strategico, La Lucv non era un insieme di persone disciplinate, assunte e stipendiate nell'isola di Hjkas: semplicemente perché l'isola di Hjkas non esisteva Lucv ne era mai esistita, presumibilmente.  I giornali aveva argomentato al processo in una nota di mezzo la Lucv è la peggiore trovata linguistica del tempo delle caverne e palafitte. Non vuol dire nulla, argomentavano.

"Non sei per nulla razionale, Pasnak!" Gli dissi saltando gli in convenevoli, dopo che ero entrato e lo avevo trovato sul divano a consultare vecchie carte del suo processo.

"La Lucv è una tua invenzione!" aggiunsi.

"Ma La Lucv è l'opera aberrante di un mio collega giornalista della mia stessa redazione che ho visto al lavoro per mesi, ne conoscevo il lessico e ho anche fatto un analisi delle suo lavoro che non stava in piedi neppure dal punto di vista lessicale aveva inventato un mondo che aveva chiamato cosi Lucv. Gioco forza a tanti conveniva. Ma come linguista dillettante ho fatto notare pubblicamente che la declinazione di Lucv con tutti i verbi possibile, come e avvenuto e la comparsa della parola Lucv in tutte le ricerche Internet non avesse senso; e poi era evidentemente caso giornalistico montato dal nulla." mi disse, calmo e conciliante.

"La tua versione non reggeva al processo. Non vi era traccia di questa fantomatica azienda ne esiste il nome proprio ne è stato declinato in tutte le forme.  - Ho scelto Lucv per la mia vita - e un assurdo slogan da te inventato. Nessuno a capito una parola di quello che hai detto al processo su questo o questa ipotetica e assurda Lucv. Incomprensibile" Gli dissi con sincero sfogo.

"Non sarei oggettivo per te e per tutti. Se ci fosse un incidente tra due camion e dicessi che ad una certa velocità in un dato punto due oggetti si sono scontrati e sono rimaste lamiere sarei oggettivo mentre se dicessi che i due camion si fossero messi a ballare allora non sarei oggettivo" mi disse dispiaciuto.

"Ci sono buoni sillogismi e cattivi sillogismi. Sai perché io non mi interesso troppo di sillogismi? Ti rispondo io senza aspettare: perché per me Socrate e mortale a prescindere dal fatto che sia un uomo, mentre non riesco a dire che tutti gli uomini sono mortali dato che può o non può esserci chissà mai un eccezione. Socrate è mortale solo perché se non lo fosse lo andrei a cercare, e forse l'unica persona che andrei a cercare ma è morta. Mi capisci, amo la logica, non la capisco ma la amo sinceramente, non ho bisogno di dire al mondo che sotto, sotto c'è questa famigerata Lucv. Che la logica è sbagliata..." gli dissi con astio, mentre lui in una qualche serenità mi ribatte:

"La mia teoria sulla materia oscura. Socrate portato in cielo e trasformato in energia e materia oscura... Nel mia cantina c'è una stanzetta dove quando voglio vado e incontro Socrate. Sono solo ironia. Ma come posso dimostrarlo. Vero o Falso come posso acconsentire?" mi chiede senza tenere conto di cosa stavamo dicendo.

"Come ti puoi immaginare che un giudice a mezzo di un dibattimento se ne esca con una battuta: - lei è una biscia, caro imputato, caro avvocato... che uno scrittore a mezzo di un grande romanzo dica: personaggio mio sei proprio da buttare, da bruciare, da espellere come uno sputo, ti pare che una giuria stia a distingue l'ironia da ciò che detto deve essere, le sigarette..." Lui si era innervosito solo all'accenno alle sigarette.

"Le sigarette, disse con fervore, non c'erano ed erano tutti i negozi chiusi da una settimana, non so perché fossero tutti chiusi, non cercavo niente mi facevo gli affari miei e aspettavo poi mi hanno portato in ospedale e sono uscito, all'incrocio... ma non avete voluto comprendere il mio discorso, non mi avete creduto, mi avete fatto sedere e parlare mi avete fatto parlare per parlare a vuoto. Riempivate queste carte, dove io il soggetto parlava di cose assurde e inesistenti, irrazionali, la Lucv ed io avrei preferito meno ipocrisia. Se permetti una battuta avrei preferiti scendere una domenica in casa a Milano a difendere  io bestia contro Platini io solo come un cane, una schiappa come sono io solo davanti ad uno stadio pieno o anche un colpo secco alla tempia. Questa ipocrisia esiste va' bene ma è meglio essere cosa se si è indifendibili come me, ma tu?" Mi chiese

"Sei risultato del tutto inattendibili, la Lucv, le sigarette, gli dei, Socrate e l'antimateria, la materia e l'energia oscura, la materia e l'energia oscura che sono la stessa cosa, e i calci di rigore, assurdità altre, le svendite non convenivano quel giorno, la base era frustrazione e poi il tuo carattere, movenze sensuali, omosessuali e libidiche, ma come ti permette di mettere in discussione il mondo che ti ha dato la possibilità di crescere e diventare quello che sei, che ti protegge in questa prigione tutt'altro che scomoda, che ti conforta e ti sfama perché?" Gli risposi attendendo che mi rispondesse.

"Ma come posso dire vero o falso, accondiscendere se non so di cosa si parla. Se l'oggettività non esistesse, forse, non so. Io non so e voi non mi date nessun dato certo, nessuna prova oggettiva, non lo so e non lo saprò se ho sbagliato. Come posso accondiscendere?" Mi chiese, ma io stavo già uscendo. Lo guardai come si guarda un uomo perso nel sua nebbia.

"Quanto ancora vuoi portare avanti questa discussione è già la seconda volta in poco tempo. Indefinitamente?" gli chiesi

"E' il mio carattere, il mio carattere, alla prossima volta..." E ci salutammo.

 

 

 

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Uscire da una casa dove si era spaccato il capello in quattro, colpevole, innocente, errore di persona, dopo che si era già detto tutto, dopo che si era ridetto tutto, con la sensazione di essere ad un punto morto. Poteva ripetersi un fatto, una discussione, un incidente, un vero e proprio delitto, se vi era la condizione come a teatro. Poteva ripetersi come a teatro date le condizioni, le luci, gli attori, un pubblico, un copione che fosse lo stesso delle sere prime e si ripeteva sul palco intorno ad un tavolo la discussione puntigliosa se avesse Pasnak ucciso per nulla e Pasnak presente non trova la via per chiudere e andarsene, andarsene, e abbassare il sipario: per sempre. No. Si recita ancora il passato di Pasnak!

Per ora ero libero, mi incamminai per le strade, tra una quantità di oggetti a cui non avevo mai prestato sufficiente attenzione.  Ho parlato della barca in fondo alla strada, questo oggetto marino, collocato in modo onirico sulla strada chiusa in fondo alla via. Mettere in sequenza altri oggetti quel giorno non era difficile, prime associazioni gli oggetti delle passione e delle oscure passioni. Le stoffe comprate da venditori orientali, spedite a Venezia, un passato che ritorna nella città moderna. Gli argenti e i monili arabi,orecchini ed anelli, le carte da gioco e gli scacchi, le matrioske russe, il caffè sudamericano, i sigari cubani, bellissime donne di colore, e tutti questi oggetti e persone che rendevano dolce la giornata erano finzione, inesistenti, rotti assurdamente non esistevano ne erano mai esistiti affatto. Va detto che erano già state rotti gli oggetti, rotti e potati via, le argenteria erano spezzate in due, cucchiai e forchette rotte in due. Le stoffe sgualcite, la barca demolita e tutti questi oggetti portati via. In un attimo! Quello che mi piace di Internet, è questo che gli oggetti "cancellati" i messaggi della giornata, le pagine con foto e video, ad un certo punto scompaiono, fanno da qualche parte come i miei cucchiai rotti, dove ci sono e non ci sono. Un grande magazzino, forse inesistente, per questioni del genere non sono all'altezza. Ma in questo magazzino è quello specchio del tempo in cui tocco il suo trascorrere e anche il fatto dell'attimo e di quanto ci sia dentro,  credo veramente Internet specchi la realtà sociale. Internet ricapitola, riassume, fa propri nel suo linguaggio elettronico tutto quello che era un biblioteca, la carta del libro diventa evanescente, le pagine sono tradotte in una formula dissolta nell'immateriale. Quello che era stato la televisione nella sua novità irrefrenabile, l'archivio di una umanità presa e riproposta in diretta, essa stessa nuovo "libro" e nuova biblioteca. Internet assorbe altrettanto cinema e radio. Fa già suo un poco anche questo racconto, anche il presente che scorre le appartiene in un certo modo; le appartiene già nella pretesa di parlare al passato anche di quello che è successo un minuto fa o sta succedendo. Io uso spesso "saltare" con i tempi, non per non rispetto della consecutio temporum, ma per evitare di continuo l'uso dell'imperfetto o del passato prossimo. In mio ascolto del discorso quotidiano sente meno o quasi mai il futuro o il presente ma solo e sovente scene come:

"Lei ha detto che il pappagallo ha parlato ha detto oca?"

"Sente! ha detto oca ancora!"

Anche mentre lo sta dicendo il povero pappagallo.

Ma è proprio di ciò l'avere una grande e assurda enorme memoria che vuole tutto già al passato per registralo, che sta il piacere di ciò. Una nuova e incolmabile memoria.

Cosi se questa pagina finirà su Internet, con le stoffe, le donne attente e attraenti, le posate e i calici, il tè o il caffè come si preferisce sarà proposto in modo diverso alla percezione del pubblico; non sarà proposto come libro di carta o lo sarà ma in vendita e consegnato a domicilio, bensì come libro da leggere su supporto elettronico, come film come audio lettura. Un film di un giro al mercato fatto da altri, magari con riferimento ad un testo diverso e non scritto da me o una lettura sul mercato di qualcosa che si svolge al mercato non letta ne presa da qualcosa di mio sarà proposta non dal cinema o dalla tv. Probabilmente io userei mettere la macchina da presa, nonostante la mia ambivalenza con l'arte cinematografica in un angolo alto del mercato. Qualcuno partirebbe con una carrellata da un oggetto agli oggetti esposti. Chi farebbe incontrare i due personaggio, protagonista ed antagonista proprio in questo luogo, io magari come protagonista e una donna che ha tutto quello che io non ho, bellezza, denaro, potere, forza di schiacciarmi. Qualcosa che oggi non è radio o tv, ne cinema parlerà del mercato se esisterà e se Internet sarà tutto questo sceglierà di mettere la camera, dove diventerà il nuovo punto di vista. Io ho scritto e scrivo questa storia non perché un giorno non sarà vero che la sto scrivendo adesso anche se tutto è declinato al passato. Il presente è un affermazione vera come respiro, capisco o scrivo al presente che ora esiste.

Non potevo che proseguire e ritornare sui miei passi, attraversare la via e ritrovarmi nella casa dell'uomo senza polpastrelli, salire quelle scale che portavano al suo attico.

Mi accolse cordiale con qualcosa da bere e una macedonia di frutta, un'aria fresca spirava era sera mi accomodai su un comodo divano accesi una sigarette come nulla fosse. Mi rilassai.

"Vedi, incomincia a raccontarmi l'uomo senza polpastrelli, forse sembro sfrenato e sembro inseguire una sensazione che non esiste, o è troppo forte per essere provata senza danni all'estremo di converso vivo nella assenza di qualunque piacere e dolore. Ma ti vorrei chiarire, amico, voglio dirti perché è cosi facile perdere i polpastrelli. No, no, so che mi chiamano cosi, non importa"

"Ma che ti salta in mente, ti pare che si sta a scherzare sulla tua condizione, grave, non si può vivere senza un "cuore" per dirla malamente con schiettezza." Gli risposi sorpreso.

"Ma te lo dico io lasciami dire vorrei parlarti io con schiettezza. Se non fosse stato per un trauma in età adulta, non c'è abbastanza attenzione a questo, ai traumi in età adulta. Io ho fatto come civile l'assedio di Srew una città lontana del Sudamerica, ricorderai dai giornali e dai notiziari... fu una battaglia dura. Io vivevo quasi sempre in casa, come tutti i civili ma se avevi bisogno di qualcosa dovevi uscire in strada e i cecchini sparavo e centravano, si vedeva di continuo gente colpita per strada e lasciata lì. E' un poco come per i soldati nelle guerre di trincea, stare giorni e settimane senza avere nulla da fare, per un caffè o un po' di sale devi rischiare la vita "senza motivo" spostandoti come nella trincea sotto il fuoco dei cecchini. Oppure come per gli sminatori che per anni magari si addestrano e poi in una giornata come le altre, che sembra come le altre, devi metterti a tagliare con delle forbicine gli inneschi di una bomba da un quintale. Io e molti altri stavamo in casa e non avevamo la televisione, non faceva differenza se ci fosse silenzio o esplosioni, ci si abituata e non sapevamo cosa pensare, cosa pensare era un impresa. Le nazioni del nord non intervenivano o intervenivano male, danni e aiuti era la stessa cosa. Si pensava ad un film, ad una attrice che stava in un bel locale sul mare e si rideva, si rideva un poco di tutto." Qui si fermò e mi guardò

"Ma non è un problema, non è un trauma in età adulta. Se mai è proprio in queste condizioni che i traumi infantili emergono, non tutti sono infondo morti a Srew!" gli dissi evitando il suo sguardo

"Non tutti sono morti, certo, ma è per loro, per l'astronave..." mi dice e io:

""No questo non lo devi dire, l'astronave, non c'entra sono morti ma che c'entra adesso" gli rispondo

"Nei loro occhi, io ho capito che l'idea della astronave era una consolazione accettabile"
"Taci! gli grido quasi, e non parliamone più o vuoi diventare offensivo?"

Lui rimane muto e poi dice

"Non certo che no, ma alla fine dell'assedio tutto era diverso, tutto completamente diverso"

"Non vorrai parlarmi adesso di Gtua la tua città adottiva?" gli chiedo risentito

"Gtua non era una città in senso stretto, e un mondo o una città itinerante:  spregiudicata e pericolosissima, un'emozione unica. Si cavalcavano i tori come nella antica Creta, letteralmente leggi che non c'era limite alla sfrenatezza ma anche al coraggio. Io mi buttavo dai cornicioni dei palazzi e rimanevo attaccato alla mano di un compagno di avventura come nei film, quindici o venti minuti nel vuoto. Ci si faceva scoppiare i polmoni correndo sulle decapottabili e si saltava come gli stuntman in volo da una sponda all'atra del fiume con le motociclette. Poi nulla, la ragione, non provavo più nulla, la normalità della malattia della noia cronica della depressione senza speranza." Poi aggiunse:

"Mi chiedo come è stato per quelli che fuggendo da Sodoma e Gomorra che si sono voltati, contro gli ordini del cielo, e sono diventati di sale. Non vi è nulla di offensivo per la religione solo forse la mia ultima curiosità, Sara credo fosse era uscita e quindi in una condizione completamente diversa da chi era ancora nelle città, ed era già in una posizione relativa rispetto a questi cosi alta e sublime, in uno scenario cosi grandioso... e si è voltata, mi chiedo cosa avrà mai provato"

Cosi stava ancora facendosi domande folli che io lo salutavo e riprendevo la porta con la sigaretta che non sapevo dove buttarla perché l'uomo senza polpastrelli non aveva portacenere, ci teneva alla salute.

 

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Kanaka era rimasto nei pressi del mercato meditando sulla memoria e guardando contemplativo questi oggetti banali e quotidiani in vendita o esposti. La rosa e la venditrice di sigarette erano in un altra strada, ora, Kanaka poteva vedere gli scacchi e le matrioske russe, le stoffe orientali e le sete, le donne reali e la normalità non male anche se la normalità. Ma non era di questo teatro con grandi passioni e slanci mediocri ma reali ne della bella vita piena di superiorità del mondo più o meno vero o propagandato che si interessava, per nulla, non se ne dava nessuna preoccupazione. La rosa esposta dal fiorista lui la immaginava ancora cosi come la aveva vista; pensava a qualcosa che non c'era una rosa immaginata ma uguale all'originale per l'appunto. Ma qui una nota particolarmente astrusa, tecnica se fossi capace. Ma va detta. Uno come Kanaka cammina per la città senza pensare, senza pensare proprio esattamente con concentrazione, una gamba, bella gamba, una macchina per fare il caffè prendo un caffè o un gran automobile faccio un giro in auto è appena passata, una piena o un diluvio annunciato dalla televisione non vado in spiaggia, o un foglio pubblicitario e lo raccata per terra, comprò un divano,ma non pensa quando però arriva al mercato trova una rosa e si fissa a guardarla. Gira l'angolo e va in fondo al mercato e si ricorda rivede nella sua immaginazione la rosa. Ecco pensa, finalmente la fantasia! Poi pensa che sia memoria, ma la rosa è fantasia...

Ma non faccio della psicologia, maglio fantasticare come scrittore e come Kanaka che proprio fa un sogno ad occhi aperti che non trova posto nella Psicologia, se va, possiamo credo pensarlo che non trova posto da nessuna parte se non in un racconto fantastico.

Kanaka capisce che immagina la rosa. Non è che vede una fotografia o un video preciso e puntuale, lui la mette in un uovo di luce, la mette in un rilievo che la rosa non aveva, insomma la immagina creando un palco mentale e lo fa per forza con tutto e ci prende gusto. Adesso al posto di una rosa ne immagina sette identiche, poi pensa a centomila rose identiche alla prima, pensa di regalarle a centomila donne e immagine mezza rosa e cento mezze rose e cosi via. A questo punto si chiede cosa è questa facoltà di creare delle scene come in un film. Indietro. Torna indietro dalle centomila rosse regalate, alle mezze rose e alla rosa prima del mercatino dove l'aveva vista dal fioraio. La memoria! Poi cerca di tornare indietro nella memoria questa volta, persona per persona conosciuta, libro per libro letto, viaggio e viaggio al ritroso quando si accorge che tutti errori, strani misteriosi errori nella mente di qualcuno che non pensa, indietro, va due passi indietro e si siede vicino a me che stavo leggendo una puntata di Kanaka l'ispettore.

Io cercavo di leggere come continuasse il seguito della puntata dell'ispettore Kanaka ma non riuscivo a mettere a fuoco le lettere dell'alfabeto tanto più che si era seduto un tizio accanto a me. Se fosse stato l'ispettore Kanaka vero e proprio, mera venuta questa fantasia chissà perché, ci sarebbe stato un problema dico "temporale". Un personaggio fantastico che entra in una realtà vera provoca è una frattura, un muro tra questi e un cosmonauta di un altro universo.

"Perché, mi chiese Kanaka, dovrei essere un'invenzione fantastica? Sono reale come il filo interdentale, un argomento di un articolo odontoiatrico, il basilico ma non una chimera o un animale mitologico. Il racconto che sta leggendo è di fantasia, si può essere un personaggio di un romanzo ed esistere"

Io stavo distrattamente ascoltando Kanaka che mi sembrava di conoscere da una vita, da più tempo di una vita.

"Se non sbaglio, lui mi disse, lei conosce l'uomo senza polpastrelli?"

Io risposi svogliatamente:

"Sì"

"E' terribilmente ossessivo quell'uomo senza polpastrelli! Quel Nesgu"

Mi disse e continuo

"Anche oggi sono passato a trovarlo. Mi era sembrato che un'ombra uscisse furtiva dalla sua casa. Pensa continuamente ad ordinare gli oggetti. Mette tutte le camicie in fila, i calzoni in fila di tre, otto, trentadue e cosi sistema in fil di quattro le bollette delle forniture al suo attico, in fila di cinque tutti i numeri di telefono della guida telefonica, in fila di sei..."

Kanaka mi annoiava, mi ammorbava quasi e cosi mi alza salutai e me ne andai a leggere su un'altra panchina.

L'uomo che viveva in un cartone stava partendo lo incontrai diretto alla stazione per prendere un treno con uno scatolone sotto braccio e io gli proposi di accompagnarlo. La strada era interrotta per lavori di manutenzione all'altezza del giardino con la fontana e dovemmo prendere una traversa e fare un giro più lungo. Molta gente aveva preso per la stessa strada e ci trovammo nella piazza davanti alla stazione circondati dalla folla. Si aspettava tutti stretti, con ansia di perdere il treno che ci facessero passare, prego e l'uomo che in un cartone disse che già aveva dovuto rifare la prenotazione per un errore e molti pericoli lo attendevano, la perdita del bagaglio l'aveva già messi in conto e la città dove andava di certo sarebbe stata molto diversa da come i realisti, gli storici, i critici d'arte la avevano descritta. "Ma no! che timore e panico!Calma" disse l'uomo delle sigarette. Ci eravamo incontrati lì per caso, anche lui in partenza, pronto senza timore e panico che non cambia nulla se per un quarto d'ora sospendiamo il panico se sospendiamo per un ora il timore, confidando anche se non so quanto, nella guida, nell'agenzia e nel fatto che era tutto organizzato.  In mezzo a quella tempesta che stava salpando e saliva su un treno scorsi l'uomo senza polpastrelli che parlava ad alta voce:          

"L'uomo sano, sano inteso come solare e senza ombra non si cimenterebbe in azioni impossibili, ma questo sembra non valere la trappola dell'impossibile è ancora aperta sull'Umanità che sembra non riuscire a vederne invincibilità di questa trappola."

L'uomo senza polpastrelli mi guardò e io risposi a bassa voce

"Non indefinitamente può persistere uno stato di cose!"

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                                       conclusione

 

 

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Erano passati tanti anni da quando avevo visto i personaggio di questa storia. Ero caduto in uno stato di indigenza e prostrazione. Neppure più desideravo nulla e tanto meno di rivedere i miei personaggi. Di andare a scartabellare i miei fogli per rileggere e cosi rivedere i personaggio del mio racconto "La trappola dell'impossibile". Ero prigioniero in catene di una vita di stenti, ma come ho detto, non desideravo più nulla.

Le stesse catene che mi impedivano qualunque movimento, mi liberavano del desiderio di uscire dalla mia prigione, la prigione spezzando la mia volontà con la coercizione mi liberava da una volontà distruttiva. L'uomo senza polpastrelli, l'uomo delle sigarette, l'uomo che viveva in un cartone erano sepolti in me, dimenticati.

L'uomo che ero e che parlava dei suoi simili, ovvero, lo scrittore! Che retorica, direi, ma ne ero guarito. L'uomo assomiglia a quelle rondini di luglio che volano ordinate, sempre, se le è concesso. Alcune con più fantasia nel volo altre più precise. Ed io che mi ero spinto a creare qualcosa che non vi era con troppa fantasia fine a se stessa sfidando l'impossibile ed ero ora con nulla in mano solo sensi di colpa e pentimenti e ora mi pentivo e non avrei avuto modo di uscire dalla trappola della volontà esibizionistica.

Non avevo avuto una fantasia criminale, tanto da essere rinchiuso in prigione, ma una fantasia vuota e sterile in abbondanza per stare come gli arresti domiciliari in una stanza sopra una birreria. Avevo avuto modo di ripensare a "La trappola dell'impossibile" per molto tempo dopo il mio arrivo in questa stanza, già si capiva che i personaggi si muovevano sempre cadendo, precipitando nel buio abisso e a distanza avevo il desiderio di risollevarli. Ma non si vede che il possibile, paradossalmente.

Sono pesci i miei personaggio che vivono sul fondo di un acquario e se il fondo sabbioso si smuove loro non salgono verso la superficie ma si affondano di più. Ed io con loro sto lontano nella polvere dal mondo che sono un animale selvatico, incapace, inetto, non cattivo né veramente cosi buono da dirsi buono perché non si è mai misurato con questo altro suo simile pienamente. Un solitario. C'è chi ringrazia di non vedermi mai più, ed io altrettanto. Sono grigio, ne buono ne cattivo pienamente. Sono incapace di nuotare e non faccio parte di chi sa nuotare. Era in questo stato d'animo che dimenticai presto i miei personaggi, tutti addormentati da una magia però che non durava, che non li allontanava di un passo da terra per innalzarli: L'astronave, mi devo avvicinare alla conclusione, presto.

In parte le circostanze non furono cosi favorevoli, la guerra che era scoppiata aveva portato l'uomo senza polpastrelli ad arruolarsi in uno dei vari eserciti in lotta. La guerra aveva portato l''uomo delle sigarette a rifugiarsi in una zona remota dove veniva tenuto sotto strettissima sorveglianza e non aveva modo di confidarsi con nessuno. Non dimentico l'ispettore Kanaka ne tanti altri personaggi negli anni descritti che per vari motivi mi erano sfuggiti, se cosi si può dire, di mano, esiliati, feriti, persi.

Le stesse condizioni avverse avevano di loro e di me, ridimensionato e quasi cancellato i sogni, se non proprio quasi qualunque notevole obiettivo. Era anche questa una caduta verticale, a piombo nella polvere. Lo stesso Kanaka che si era rimesso a fare il pescatore di balene non si riconosceva più. Lui stesso non accettava che da un personaggio editoriale, una figura di commissario e operante  nella giustizia, avesse potuto passare cosi bruscamente nel mondo degli affari delle baleniere. Non potendo paragonare ad un Moby Dick, anche se in chiave moderna. Solo che anche lui si rese conto di non poter mai essere uno scrittore di gialli, ma il colpo fu duro ugualmente.

Le persone che erano al mercato, quel giorno in cui passando vidi una rosa, una venditrice di sigarette e una quantità di altre cose, gli anni prima e quelli dopo, i giorni i cui altri personaggi vi passarono non sono mutati e sono conservati migliaia di particolari, ritratti di minuzie. Ma di quelle persone sembra che manchi il loro domini, dei potenti, la terra, degli uomini, gli averi e degli scrittori, le qualità e dei libri, le folle, come immaginare oggi o domani.

Manca di Moby Dick, del L'uomo senza qualità,  della Nausea,  le medesime relazioni che intercorrono tra qualunque oggetto e l'ambiente. Se un pesce sul fondo del mio acquario dopo un anno uscisse e apre il frigo dico che non intercorre più la stessa relazione con l'acquario. In colpa, sono sopravvissuto.

La memoria dell'uomo delle sigarette e degli altri personaggi non è che uno scatto, un'istantanea, una diapositiva. Parte da questa capacità di fermare il tempo in un istante e in un istante più lontano rivisitarla la capacità di creare la storia, la narrazione. Una riproduzione di miseria, avvilimento, isolamento che è sempre un paragone con una storia diversa, con un libro riuscito, con il volere che io sia e fossi stato più bravo e abile. Ma ho cercato di fare capire ai mie personaggi che non contasse la storia, l'emozione e il successo quanto quell'attimo, la memoria di una rosa, per avere una storia e una vita.

La loro volontà li completa, nella sua devianza dalla norma, trovano una collocazione nella normalità. Il desiderio non è che l'altra faccia della loro volontà e entrambe sono un insuccesso, sono la pretesa di uscire dall'acquario e aprire il frigorifero. L'impossibile.

Manca qualcosa per ultimo; l'astronave. L'astronave non può portarli via cosi e basta. Ci devono arrivare e io lì conduco uscendo dalla birreria, li porto in un campo e li faccio accomodare dentro l'ambiente psicologico in cui sono nati e cresciuto, quel "Sistema Operativo" ( come si dice in informatica) senza il quale la memoria, la volontà e anche l'io non avrebbero potuti funzionare. Ricordarsi di che giorno è o dimenticarsene, prendere l'ombrello sbagliato, la tendenza all'azione, la memoria, la pulsione omosessuale, la Psicologia, La Giurisprudenza, La Cultura e L'universo hanno bisogno di un ambiente mentale nella quale esistere a se stessi, per quanto inutili e piccoli possano  gli oggetti acquistano una forma  e consistenza, le cose  hanno bisogno di una coscienza che li ospiti per esister. Quell'uovo di luce che serve per vedere con gli occhi della mente ciò che si ricorda. Quel teatro immaginare senza il quale non si può collocare anche il minimo fatto. Ad essere è la coscienza in realtà che si mostra, nell'autocoscienza si mostra lei medesima a se. E' comprensibile, chissà.

Questa astronave accoglie anche l'autore. Senza questa l'autore non potrebbe scrivere nel senso letterale, se si vuole senza la un uovo dove mette un uovo, un luce per illuminare la luce, un palco o un teatro dove mettere dentro un altro palco o un intero teatro.

L'uomo senza polpastrelli mi salutava e saliva sull'astronave. Seguito dall'uomo delle sigarette e dagli altri personaggio che mi salutano. Salutavano sinceramente con la mano e con il sorriso. Io dovrei salutarli ma rimango indeciso senza poter salire con loro sull'astronave non essendo di carta stampata ne di bytes o un film. Ne potevo rimane ancora qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il racconto "La trappola dell'impossibile" è un racconto di fantasia e fantascienza, qualora si ravvisassero fatto accaduti o persone reale è da intendersi senza nessuna allusione e nessun intento solo coincidenza. Ogni riferimento alla realtà è puramente casuale.

Il testo è nella volontà dell'autore presentato a scopo di lettura ogni altro uso si ritiene non voluto.

Domenico Merli

amultimediarte@email.it

 

 

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