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NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI

(E FUORI CATALOGO, L'UOMO)

        RACCONTO

 DOMENICO MERLI

 

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Meraviglioso è dunque la precisione del termine Wirklichkeit (derivato da wirken, agire ) con cui i tedeschi designano l'insieme delle cose materiali: termine ben più preciso che non quello di realtà.

Il mondo come volontà e rappresentazione. Arthur Schopenhauer

 

 

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Rido in modo smodato. Non te ne fare un gran fastido. Parlo a qualcuno? Capirai quanto sia per me amara questa frase. Ma prima, il segreto. Qui lo riporto, in breve, per meglio conoscermi e nella speranza di rendervi un diversivo interessante.

Non so comunicare in modo chiaro. Più che ermetico sono ostico e oscuro per cui meglio e che sia il lettore a mettere, come dire, i riferimenti. Tutta la storia richiede riferimenti, di luogo e tempo, gli stessi antecedenti storici sono trascurati, manca il chiaro delinearsi di un contesto. Sta a chi vuole comprenderlo, vedere nitidamente gli accadimenti dove per dire, lampione si indente un baco da seta. La faccenda partirebbe prima dei bachi da seta. Forse, tutta la mia vita sta dentro una scatola da scarpe. Quello che rimarrebbe fuori sono questi terribili "riferimenti" al costo della benzina, al prezzo del quotidiano e del caffè.

I bachi da seta modificati geneticamente furono introdotti della mia città illegalmente, proprio in un allevamento vicino alla mia casa, ma credo di dirle quest'ultimo riferimento senza alcun motivo. Piccoli di norma tre millimetri alla nascita, il baco arriva a tre centimetri circa, conclude la sua vita di larva in un bozzolo di seta e inizia quella di farfalla dal colore scuro. Guardando verso le luci dei lampioni, come ho menzionato prima, si vedevano bachi da seta annidati in bozzoli di seta sempre più grandi. Questa invasione aveva trasformato la mia città in un groviglio di fili che aumentava e catturava gli aerei sospesi in cielo, scoperchiavano tetti e imprigionavano le tegole a mezza aria, avvolgente e famelici mangiava un poco di tutto, non le persone o gli animali, ma le cose.

Io era andato ad un colloqui di lavoro. Prima avevo incontrato lei, bella e nervosa più che mai, armata di due lunghe e affilate forbici da cui non si separava ormai più e che si era fatta largo tagliando i fili del bachi impazziti.

"Vai al colloqui, ti prego!" lei mi disse.

Lei, la signora. Non trovavo altro modo per chiamarla anche tra me e me.

"Al colloqui? Ma non mi prenderanno mai!" le risposi.

Era bella e nervosissima e pensai che se gli avessi dato una sberla da stordirla anche i bachi se ne sarebbero ritornato al nulla loro.

"Vado, vado.." e mi allontanai.

L'esaminatrice era piccola ma robusta con gli occhiali messi che stavano un po' storti per un grande naso asimmetrico. Era precisa, quel genere di persone, che guardano le parole come le scarpe di due piedi. Precisa.

Io rimango un poco a pensare alla sua prima domanda.

"Chi a scritto la congiura di Catilina?" poi rispondo sicuro

"Cicerone. Certo"

No! e si sbracia come avessi fatto chissà che errore e mi corregge:

"Sallustio!"

"Salluzio!" dico io cercando una pronuncia latina nella mia memoria.

"No, Sa llu stio" risponde scandendo l'esaminatrice.

"Chi a scritto Le nuvole?" insiste lei

"Aristotele! Certo." rispondo secco

"Aristofane!" Lei precisa come un detective che ormai ha il caso nelle sue mani.

"Scriva.. lei si metta a scrivere, are you a student? Mi faccia leggere cosa ha scritto: a r iu a tu den?"

Lei rimane un poco con l'attenzione sul foglio e poi dice:

"Perché si è presentato?"

"Perché sono il migliore?" scortesemente rispondo ad una domanda con una domanda. Tralascio di chiedere il tema sull'attualità. Di cercare tralascio un improbabile suggerimento o "foglietto" e insisto.

 

 

 

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"Ma guardi che sono venuto per quel posto da direttore del personale nella lontana provincia fuori dal continente solo perché sono il migliore che la vostra azienda piena di debiti e mal organizzata, tutto un nugolo di congiuranti intorno ad un presidente vecchio e senza più la ragione..  l'unico che voi potete trovare adesso che la città è tutta una ragnatela!"

Andando in giro per la città ci si stupiva come le ragnatele o i giganteschi bozzoli di seta avessero assunto nel paesaggio una loro accettabile immagine. Come una filosofia poderosa aveva ora lo stadio sportivo sprofondato da mille e mille "corde" dal vertice verso i desolati campi come avvolto e teso alla terra. Le strade avevano acquistato portici, e alla lunga una vita isolata da pioggia e tempo cattivo, la prima cosa che appariva era il dispiegamento di vigili del fuoco, dovevano intervenire sia per il pericolo di incendi che per tagliare e anche inondare di speciali liquidi solventi dove era più forte e concentrata la ragnatela di seta. Vi erano due opposte correnti di pensiero, chi decisamente contro e chi più accomodante con la seta e i suoi inconvenienti, chi vedeva in questa eccezionale condizione un nuovo piacere e una nuova ossessione per una mitica regina della seta, in tutto e per tutto donna e per il suo consorte re della seta, in tutto e per tutto umano, e di creature mitiche che venivano a fare visita nelle ore più impensate e assetate di sesso.

Ma ciò rimaneva come la quotidianità familiare mentre io ero al colloquio e vedevo questo come una vetusta e strana cosa, un mito ormai misconosciuto e l'assurdo retaggio di un passato corporativo. Chi aveva i capelli biondi, chi i riccioli, chi gli occhiali e chi tutto questo ma un naso arricciato, o un naso schiacciato, sono banale considerazione di una sala d'attesa gremita per un posto di direttore del personale che se assunto avrebbe deciso di persone con il naso, e i capelli o senza capelli e con gli occhiali oppure senza occhiali.

L'esaminatrice mi spiò dagli occhiali storti sul naso e disse:

"Un altra domanda per lei: quale è la sua motivazione che l'ha porto a chiedere il posto, e in subordine la definirebbe forte?"

Io rimasi perplesso, voleva parlare della voglia del successo, del problema di avere successo ad ogni costo e con qualunque mezzo, e risposi.

"Il successo, questa è la mia motivazione, sogno da sempre il successo, il successo fine a se stesso e lo voglio raggiungere con qualunque mezzo meglio se non del tutto corretti. Ma poi cosa fare se avessi finalmente successo? Perché avere successo?"

E mi interruppi. Una motivazione migliore sarebbe stata quella della sopravvivenza. Cosi dissi.

 

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"Nutrirmi e dormire in una stanza. Questa è la mia motivazione. Un pranzo e una cena garantiti e quattro mura dove rifugiarsi quando stanco. Ma che senso ha, lottare per sopravvivere?"

E mi interruppi. Una motivazione migliore era crescere umanamente. "Capire attraverso il lavoro chi sono e quale è la mia forza, certo quale è la mia forza? La mia convinzione nella motivazione in sé è fortissima!"

Quasi urlavo, ma poi dissi:

"Voglio conoscere gli altri, gente nuova!"

"Questa è una bella motivazione per un direttore del personale, ad esempio questi signori nell'anticamera li vede, vero? Saprebbe essere il loro direttore?"

Mi voltai e attraverso il finto specchio guardai i componenti del gruppo fuori continente, almeno cosi credevo fosse la loro destinazione. Non avevo mai gestito un gruppo. Solo qualche anziano, gente accusata ingiustamente, qualche ragazza, pochi personaggi alla volta. Ma qui c'era un catalogo, una foto di gruppo di teatro e personaggi archetipici.

Nervoso, stava seduto spalle alla parete, gli occhiali incollati. Secondo la mia teoria era Ego referente all'ottanta per cento. Nella mia teoria è molto buono. C'era poi un rilassato e corpulento, aggressivo. Ego referente anche al ottanta per cento.  Un giovane in divisa, come avesse sempre addosso la divisa anche in abiti civili. Probabilmente lui è ego almeno al novanta per cento. Una ragazza, mente cronicamente lo intuisco, e sempre per induzione è ego oltre il novanta per cento. Signora con scarpe di vernice nera, uno sguardo di ghiaccio, potrebbe fare e essere qualunque cosa ma ha un ego di ottanta per cento, lo sento. Una ragazza di colore dagli occhi verdi e un uomo forse un attore dai capelli biondo. Era già una coppia anche se loro non lo sapevano. Una coppia e per definizione, per mia definizione ego referente al cento per cento. La teoria è mia e semplice. Ogni cosa, un albero o una stella ha un suo grado intrinseco di ego. Un ego al cento per cento dimostra una autarchia completa, una indipendenza completa. Non significa essere egoisti, falsi, ricattatori, questo non corrisponde nella mia scala che coglie il neonato al momento della nascita nei primi quindici minuti, quando anche l'istinto non ha idea di un oggetto. In assoluto un uomo preso e alzato al cielo, o sballottato da una tempesta in mare ha un suo grado puro di ego. Diversa nel tempo, se lo si coglie con il partner o su un ramo di un albero. Era l'unica teoria che ammette l'esistenza del soggetto e parte dalla venuta a mondo e non da qualche mese o anno dopo.

Il lavoro mi interessava, ora molto, e sì volevo essere il direttore della filiale fuori continente! Che odioso lavoro avevo scelto! Come ero contento di prendere aria per qualche anno! Non c'era scampo, la mia malinconia della ragnatele di seta mi avrebbe ucciso  mezzo passo fuori le mura della città!

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Cercavo di capire la direzione del dolore, da che punto dello spazio venisse. Ma ero vivo e quindi godevo di un privilegio transitoria e del piacere di non sapere da dove vengono le cose non sapere orientarmi senza un riferimento sociale, tanto più che il mio stesso dolore veniva da un altro punto, situato nell'appartamento di fianco, dalla casa di un altro quartiere, e in più potevo sbagliarmi su tutto. Neppure potendomi sbagliare su qualunque cosa e fraintendermi liberamente in ogni cosa, era di una qualche utilità. Questo era il mio stato, né doloroso né piacevo.

Anche gli uccelli cosi minacciati dalle ragnatele di seta aveva appreso un comportamento utile volando alto e imparando certi percorsi a mezz'altezza tra le case, appollaindosi in numerosi nuovi posti. Fili non ne mancavano. Alcuni aveva intrapreso con successo un attività commerciale riciclando la seta, nell'abbigliamento, nella produzione di divani e poltrone,

e arredamenti alternativi con variazioni sull'idea del bozzolo. Con una certa ritrosia si era diffuso la larva fritta, ma se molti vivevano come una nuova epoca tutto ciò altri ne avevano crisi nervose e fobie per le ragnatele. Molti stimavano oltremodo questo stato come una definitiva catastrofe, allergie e cattiva qualità dell'aria era attribuita al nuovo stato delle cose, ma che mi vale parlare ancora, se come ho detto nelle prime righe di questo racconto, nessuno mi ascolta?

Come è possibile che mi sia spinto a descrivere un posto tanto ameno e privo di senso come quello qui narrato, senza tenere conto che infastidivo e provocava la pazienza del lettore, se almeno uno ci sarà? Colpa di uno scrittore inesperto, che non riesce a nascondere le proprie debolezze e non trova che qualche uscita di cattivo gusto. Che la caduta di stile se lo porti, questo scrittore! Ma è sempre una caduta di stile..

Forse, tanti anni fa, quando scrissi le prime pagine delle prime novelle, non avevo questo difetto. Non avevo meriti, ma non risultavo alla lettura un po' troppo.. se si vuole definirlo questo "un po' troppo" si pensi che allora ero tanto vicino ad essere uno zero e anche adesso, ma adesso è diverso. Scalciato dal sellino della vita ridotto un uomo senza peso, né un mia opera, né una mia opinione, nulla potevo per affermare tra i viventi. Ma la mia scrittura ne guadagnava in assenza di inutili descrizioni e opinioni. Ora, ero un nulla un zero in questo mondo, ma avevo preso l'abitudine di mettere nelle pagine strane descrizioni e balzane idee.. Poi come qui tutta una caduta di stile!

Dico questo senza pudore, ma quale pudore dovrei avere se davanti a Lei, la signora, io mi presento con un contratto per andarmene, abbandonarla ne più ne meno, e che pudore dovrei avere se rido, come nella prima pagina, rido smodatamente.  Ma da un pulpito che fin che dura è letto dal mio vicino che a Pechino. Comunque sempre ridere solo è. Ma bello, un solo lettore su Internet nelle isole Fiji. E' una riunione di individui progrediti, la vita sociale, c'è ci è dentro e c'è ci è fuori e da fuori si vede bene la riunione. Devo cambiare stilo o partire, dubito che sia giusto continuare in tutti i sensi.

"Ho avuto il posto, ma non partirò!" dico a Lei, che mi viene incontro con due forbici, e penso come farà con tutte queste ragnatele se parto.

"Parti, ti prego parti!" Sembra pianga, io dico non ridere, forse potrei partire veramente... e penso lasciare tutto, tutto e lei come farà tra tutte queste ragnatele d'oro e morte.

Cosi mi dirigo verso il furgone bianco dell'azienda dove avevano preso posto i miei colleghi e colleghe, dove c'era tutta la sembianza di un altra nuova riunione. Ma io avrei viaggiato nel portabagagli chiuso in un sacco. Fuori dalle mura della città c'era una guerra perenne, tra popolazioni povere che pressavano da sempre alle porte di quel mondo che abbandonavo.

 

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II

 

Viaggiavo chiuso in un sacco di plastica, aria ogni mezz'ora, per il resto quella che rimaneva dentro. Il viaggio nelle terra della guerre non sarebbe stato poi cosi male se non fosse stato per i calci che prendevo, calci, pugni.... non so, non vedevo. Li sentivo maligni colpire lo stomaco e il ventre, abbattersi sulla mia faccia.. C'erano delle capanne di paglia e fango secco, in mezzo correvano le jeep con i mitragliatori caricati sul cassone.

Ero chiuso al buio ma mi sembrava di vedere cosa c'era fuori, di capire anche cosa vi fosse fuori. La costrizione della condizione della donna, trasformata in una creatura randagia, come lo sono i cavalli domati non ricordavano più che la servitù. Questo dramma dell'abbandono della felicità dalla terra si ripeteva di villaggio in villaggio, nel sobborgo del mondo c'era una cronica servitù.

Ancora mi arrivavano calci. Avrei voluto dire: basta! Ma è la guerra, mi rispondevano.  Io avevo il sospetto che fosse invece l'aiutante dell'autista. E poi i bambini avevano un aria spennata, le ali rotte e rantolavano cosi come si dice dei polli, ma erano bambini. Non erano ancora adulti e non avevano dentro di sé la possibilità di essere liberi da un perenne incubo di capanne di paglia e fango, e camionette militari. Avevano le ali spezzate.

Il pulmino andava verso la filiale fuori continente con il personale a bordo. Fuori dal finestrino si vedevano anche uomini o civili, sopravissuti alla guerra, morti chissà. Erano comunque come morti. Inerti. All'opposto assassini.

Potevo vedere meglio, anche stando nel sacco, al buio. Le donne infelici, non erano cosi ma mi apparivano ora diverse. Attendevano con accidia, con accidia che succedesse quello che doveva succedere, piene di astio, cattive, tanto qualcuno, pensavano, qualche altra donna avrebbe preso il loro posto, e passando le jeep sparando.. una milione di donne, uscivano dopo lo sparo dalla capanna e prendevano il posto delle morte.

I bambini si possono fare, a milioni a miliardi, a miliardi di miliardi di miliardi, sono la speranza. Certo. Ma sembrava che ce ne fossero pochi. Dove finivano dopo la scuola, si perdevano e nessuno sapeva più nulla di loro. Erano andati a cercare altri bambini che cercavano altri bambini, non vi era nulla di definitivo nella demografia delle terra della guerre. Nessuna regola era la regola.

I morti si confondevano con gli uomini adulti, ma questi ultimi si confondevano con uno con l'altro. Erano il sosia di un uno solo. Un povero diavolo che non faceva male a nessuno. Che a furia di non fare male a nessuno faceva una buca e ci cacciava dentro la testa.

 

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Sparo, hanno sparato sopra la mia testa. Ci fermano ad un posto di blocco. Ci avvisano che siamo in una terra in guerra. Dentro nelle terre in guerra. Io gli dico al soldato che non è proprio cosi come lui dice. Hanno messo tutti dentro le capanne di paglia e fango secco. Giusto? Gli chiedo. "Sì" mi risponde. Che li si è mitragliati. Ed erano tutti dentro. Giusto? "Sì". Mi risponde il soldato. E si è dato poi fuoco alla capanna? "Sì" mi risponde. Ma non è proprio cosi, gli dico, non è cosi.

Sono arrivati sui camion e sono scesi i fucilieri. Chi qua e chi là hanno iniziato a sparare. A sparare sulla folla, ma, qualcuno faceva dei segni con gli occhi, con gli angoli della bocca. Indirizzava i colpi, ma senza farsi scoprire. I bambini indicavano con il dito, ma senza farsi vedere. Gli adulti sventolavano il fazzoletto, come fosse un segnale stabilito. Ma non è andata neppure cosi, perché le pallottole, dopo che erano state sparate giravano per aria senza toccare terra, curvando e ritornato sulla stessa traiettoria due volte. Ma non era ancora andata così e tacqui perché mi ero preso un calcio e la notizia che si era al ponte per passare da un continente all'altro. Potevo uscire dal sacco, risentito per quell'ultimo calcio dato gratuitamente di certo dall'aiuto autista, davanti avevo ora un maestoso fiume e un ponte, un ponte bombardato.

Nella migliore delle ipotesi questo è una novella. Un sogno. Non vi è nulla che turba lo scrittore, disteso su una amaca a commiserarsi e a volendosi dolcemente male. Ah, poveri amici miei che cattivo che sono. Nella migliore delle ipotesi la sua vita finirà in un sogno ignaro della vita. Nella peggiore delle ipotisi si sveglierà, si sveglierà nel dolore e nella miseria. Ma perché a voluto mettersi a fare il saggista e per di più di psicologia della violenza, tra l'altro questo ramo esiste? Unendo alla sua novella la pagine seguente commette un torto al suo scopo principale, fare una storia completamente inventata. Un buon proposito tradito dello scrittore, lo ha sviato a seguire la strada della scienza rispetto alla più congeniale letteratura. Ah, grida il Coro, ah! Ah, che sarà di questo nostro ero di carta, di cartapesta, digitale,  eppure nelle migliori delle ipotesi, solo un sogno?

Ecco cosa succede. Calda riva di un fiume da grande portata d'acqua nei pressi di un ponte bordato un pulmino bianco con a bordo: Nervoso, quello stesso che avevo incontrato all'esame di assunzione. Nervoso di nome proprio aveva la barba sudata, era preoccupato, tanto da essere pronto a "esplodere" in una strutturata critica di tutta questa storia che chissà perché lo aveva coinvolto. Rilassato proprio con questo nome viene qui designato nella sala d'attesa e che avevo incontrato al colloqui di lavoro. E' al finestrino, Rilassato non trova una valida ragione ha ciò che questa storia, bonario e corpulento, e non vorrebbe essere lui ha trovare che il senso non c'è qui. Il ragazzo Militare come lo chiamiamo solo per sopranome essendo un civile, anche lui già visto e reclutato lo stesso mio giorno dalla mia stessa azienda trova che la storia cosi come è non svela nessuno delle questioni poste, potrebbe e dovrebbero essere in questa storia questi sentimenti degni ? Si chiede e s'offende. La ragazza mente, non ha un nome, lo cambia continuamente, non c'è modo di intendere se scherza o scredita: per lei questa è una grande storia.  La nera è la donna con le scarpe di vernice nera, dovrebbe essere un passo dietro di me in carriera, ma scende dal pullman cosi astiosa che pare metterci tutti in riga e prendere lei il comando. Adamo cosi chiamiamo il biondo e spazientito, egli non si raccapezza di quel posto, di cosa fare, lo avevo incontrato con una ragazza di colore alla selezione del personale. Lui e lei, Eva e Adamo sembrano non essere ancora una coppia, lei guarda senza voler accettare la giornata di sole troppo calda. Io mi sono tirato fuori dal sacco e esco dal bagagliaio, guardo se tutto questo è a posto, il pulmino bianco è sotto la mia responsabilità in quanto responsabile del personale, ma prima di tutto controllo che la carrozzeria bianca non abbia un graffio. Un segno! Uno sfregio sulla vernice bianca, è qualcosa che rischio di pagare dalla mia tasca, e succede lo scontro più duro della mia vita, con l'aiuto autista. Non ho altro modo per raccontarla che usare una pagina saggistica quanto mai improvvisata.

 

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L'oggetto di studio è il pestaggio.

Condizioni necessarie e sufficienti per trasformare un uomo in un pestatore.

Due condizioni, calma superficiale, ribollio della rabbia interna ed esplosiva. La parte esterna va da contenitore alla violenza quando i due strati si toccano parte la contrazione muscolare e l'istinto di mordere e strappare. La violenza di botto esplode e vuole non cessare mai. Si vorebbe pestare per tutta la vita.

Io ero proprio in queste due condizioni freddo e furente, pronto a pestare l'aiuto autista all'infinito. Coprendo di legnate ogni suo millimetro.

Ma poi ho pensato, e se non riuscissi a pestarlo in eterno, se è solo un sentimento come gli altri, assoggettato alla ragione e alla volontà?se mi dovessi fermare a mezzo e mi fossi sentire male, in colpa magari in caserma con qualche imputazione sulla testa?

E cosi dissi. Un segno sulla carrozzerie! Un segno! Chissà che significa! E mi occupai in fretta del secondo problema. Guadare il fiume. Preparammo delle taniche e dei fusti di plastica pieni d'aria, legati intorno al pullman che avremmo usato come zattera per arrivare d'altra parte del fiume guadandolo.

Nervoso controllava le taniche legati all'altezza delle ruote, a fare da galleggianti, e dice: "Non può andare, non può proprio andare". Il ragazzo Militare a messo prudentemente un tubo nella marmitta e lo guarda con autolesionismo. Adamo è interessato dalla bellezza del luogo. Rilassato legge nel suo posto su pullman. Proprio in quel momento una jeep che montava sul cassonetto una mitragliatrice passa attaccata a noi.

Il naso storto in un ghigno di morte, il soldato sulla camionetta, alza una montagnetta di ragnatele e spara il alto. Il mio stomaco si chiude, penso è finita! Per la mia città e Lei, la signora, è finita! La città deve avere capitolato. La camionetta si ferma. Il soldato e contento, ride. Mi getta le ragnatele ai piedi. Alza il pollice e l'indice per dire, ti sparo! E se ne va. Avrei preferito avesse sparato. Decisi che io dovevo andare là, oltre il fiume alla filiale abbandonata oltre continente. Dovevo disparatamente vivere era troppo, troppo. Diedi gli ultimi dispositivi per la partenza. Salii sul tetto del pulmino bianco e diedi il segno di accendere i motori roteando la mano come per il decollo di un aereo.

 

 

 

 

 

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Guadare il fiume non era impossibile. In molti punti il fiume era basso lo si percorreva come una grande strada allagata, il alti bisognava puntellare con delle lunghe pertiche che ci eravamo costruite e dove era veramente fondo contavamo sull'effetto sorpresa di tutti quei contenitori di plastica.

Eravamo tanto galleggiabili che saremmo potuti arrivare alla foce qualche migliaio di chilometri a valle. Io stesso mi ero legato delle bottiglie di plastica vuote come salvagente. Alla prima buca quell'enorme bolla d'aria contenuta che eravamo noi e la macchina si sporse di lato, poi si raddrizzò e procedette un una zona d'acqua profonda. Ci fu un tuffo sordo nell'acqua sporca. Le corde si tesero. I galleggiati schizzarono verso l'alto. Io mi accorsi che la costa abbandonata era ormai lontana e pensai istintivamente ai coccodrilli numero in quella zona. Il cielo era basso come in una scatola di tonno. Forza! Alle pertiche! Nervoso e il ragazzo Militare spinsero per disincagliare le ruote che partirono con uno scatto brusco e Nervoso cadde in acqua.

"Ti vogliamo! Torna qui!" dissi.

"Se non mi volete, no!" rispose nervoso.

Non era uno scherzo, poteva annegare e lo stava facendo. La responsabilità di questo affare era mio e non mi piaceva pensare che lui, Nervoso affogasse. Anche la ragnatela poteva essere un bluff, o io mi occupava di salvare una vita quando il mio mondo periva. Vidi qualcosa nell'acqua, non era un coccodrillo, era un altro uomo che nuotava. Intanto avevo detto all'autista di fermarsi alla meno peggio, un diastro, non ci si poteva fermare, e questo era vero, ma quella strava persona che nuotava, ora più vicina, aveva raggiunto Nervoso e lo traghettava alla fune che gli avevano gettato salvando, e mostrandosi, in viso e busto, riconoscibilissima, nella mia anima ancora prima che nella mia faccia stravolta riconosceva, me, proprio me stesso, avevo incontrato il mio sosia! Il mio sosia mi nuotava accanto, faceva il lavoro per me, il lavoro che toccava a me, mi toglieva le castagne da fuoco.

Recuperammo nervoso e diedi un forte colpo sul tettuccio che inondandosi di acqua e spruzzi acquisto l'altra dando prova di essere un buon motoscafo il pullman nelle acque basse.

 

 

 

 

 

 

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Eravamo mesti, mogi, avevamo deciso di dividere la ragnatela di seta un poco per uno  e sembrava una imitazione chiusa nelle nostre mani. Il mondo cambia, come la pelle, muore e rinasce continuamente. Il coro diceva, gli dei, gli dei vi hanno abbandonato! Soli in terra straniera siete, gli dei, gli dei, hanno schifo!" Ma dei mondi morti che farne, e dei loro abitanti, che rimangono annientati annichiliti dalla fine, e non è da sottovalutare questo sentimento di perdita. Arriva lontano, forse alla quarta dimensione. Perché è dolore, come la paura o l'angoscia, ma più esteso e ampio, parte come una fitta al cuore, con la perdita di un lavoro, di un alloggio e si moltiplica per due, dieci volte l'emozione della violenza e del pestarsi, cento diventa una caduta nel vuoto che si moltiplica per quattro, un viaggio in ascensore dentro una miniera che si moltiplica per sedici, per duecentocinquantasei e arriva a toccare l'infinito. Che fare della morte? Oh dice il coro, che sogno una vita senza morte, che bel segno e che miseria!

La sede della filiale fuori continente era dismessa, abbandonata. Ma che razza di posto, guarda quanto è sporca, ma che accidenti è quella affare, uno scarafaggio, grande cosi? Nessuno faceva questi discorsi apertamente. Era il discorso che nelle orecchie si sentiva, si faceva finta però che non ci fosse. Che schifo, ma come si fa a lavorare qui.

Io lo dissi quando eravamo tutti riuniti. Questa è una società di selezione del personale. Non dobbiamo fare colloqui, raccogliere curriculum,  aggiornare il data base. Parlare con le aziende, e in fine assumere. La nera aveva una smorfia, senza dubbio adesso era arrabbiata, stirò le labbra per dire: "qui? Voglio dire, qui non c'è nessun cliente. Ci siamo solo noi. Intende?"

"Il lavoro deve essere fatto. Punto." dissi e aggiunsi:

"Avete visto un tizio che deve essere qui intorno. Uno sconosciuto?" Ero ancora interessato a quel strano tipo che nuotava accanto al nostro pullman.

"Un essere schifoso che le assomiglia?" disse la ragazza che mentiva. E aggiunse: "Vorrebbe forse che dovremmo mettere annunci pubblicitari, affissioni, prendere contati, qui?"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il discorso di fondo prendeva ora più tono e volume. Ma che per, dove andare, lasciare adesso, chi se ne frega, ma va'. Era il discorso che stava sotto la socialità, il gradino sotto, sommerso, un eloqui di astio, parolacce, attacchi fantastici, immagini scurrili, che qui lo si sentiva per tutta la città, le terre, i continenti, che ancora ad un livello più alto registrando tutti le frasi del mondo era composto da buonasera, giorno, ciao, salve, in italiano solo per i cinque per cento o meno, in inglese per il venti o giù di lì, che era discorso o rumore di fondo, incessante non senso se ascoltato di botto dal satellite artificiale adibito allo scopo per i più diversi fini. Nervoso voleva telefonare. Cercava un modo per uscire alla meno peggio da quella situazione ristagnante depressiva, recessiva. Ma Rilassato aveva la cornetta del telefono in mano e non la cedeva, la difendeva, dire a chi che cosa, neanche da pensarci.  L'aiuto autista e l'autista partirono a piedi, con un fucile da esploratore di altri tempi, non rimanevano, non rimanevano più a disposizione della azienda. Volevano essere orsi. Adamo finalmente prese la mano di Eva. Si alzarono senza dire una parola e se ne andarono dal salone per le riunioni. Piano tutti li seguirono, Nervoso, Rilassato, La nera, La ragazza che mente. Solo io e il ragazzo Militare eravamo rimasti nella sala dismessa.

"Allora, mi disse, è il momento!"

"Sì" dissi.

"Ci sono un sacco di cose da fare, basta darsi una mossa. Partire e poi le cose vengono da sé.."

"No, non c'è più nulla da fare, siamo disoccupati" dissi e lo salutai.

Non era vero. Anche cosi c'erano delle giornate che mi sentivo appagato. Come quando scoprii nell'orto dietro lo stabile della mia ex società quel ragazzo, o meglio il mio sosia. Lavora la terra, prepara la colazione e ogni tanto mi saluta. Deve essere stato quando da duecentocinquantasei il mio dolore è passato sessantacinquemilacinquecentotrentasei di dolore. Capillari. Poi si e diffuso ad altri capillari e pieni questi ultimi hanno raggiunto il mare. In questo stato di prostrazione anche se avevo solo quattro litri di sangue circa, avrei potuto inondare la città delle ragnatele di seta, spazzare via i bachi da seta, far nevicare, sradicare alberi. Mi chiedo se qualcuno mi ascolta, se sente la mia smodata risata. E' una condizione senza nessuno a cui dare e da cui ricevere, un coordinare di suoni ancestrali e intuizioni futuribili, come un lungo periodo prelinguistico. Condizione questa che non è né naturale né civile. E' sono un sogno. Nella migliore delle ipotesi è solo un sogno. Nella migliore delle ipotesi è solo un bel sogno. Che fare della morte? Se non mi toccasse, arrivasse senza pena e sofferenza, ma parte di un sogno che scivola in sogni. Oblio. Farne un nulla della contemporaneità, svuotandola, mettendomi da me fuori catalogo.  La vita dell'uomo è in ritardo e forse è già troppo tardi arrivano i rimedi stessi, lo dico con dolore a un miliardo di capillari che urlano verso il mare. Fuori catalogo, fuori dal catalogo della Natura e dal mondo umano che non mi comprendono. Uscire dal cerchio di dura Natura separata irrimediabilmente da me e dalla contemporanea storia della civiltà, parlando a caso, emettendo come i primi uomini suoni sconnessi, meravigliandomi come loro di quei primi segni dimenticati.

 

 Il racconto "Nella migliore delle ipotesi" è stato scritto e illustrato da Domenico Merli, è uno scritto di fantasia senza riferimenti a fatti o persone esistenti o esistite, o fatti accaduti.

Domenico Merli

amultimediarte@email.it

 

 

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